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venerdì 22 aprile 2016

The VVitch - A New England Folktale, di Robert Eggers (2015)






New England, 1630: William e Katherine conducono una vita cristiana devota, e proprio perché ritenuti eccessivamente ortodossi, vengono cacciati dalla comunità di cui fanno parte. In totale solitudine, la famiglia, composta da padre, madre, Thomasin, ragazzina adolescente, Caleb, preadolescente e altri tre figli, di cui un neonato, Samuel, arriva in una appezzamento di terra che prova a coltivare, ai margini di un bosco difficilmente praticabile. Quando il loro figlio neonato scompare misteriosamente e i loro raccolti non danno nessun frutto, tutti i componenti del gruppo familiare cominciano a percepire che eventi sinistri si stanno abbattendo su di loro. 'The VVitch' è il ritratto agghiacciante di una famiglia sola e disperata, vista all'interno delle proprie paure e ansie, che la lasciano in preda a un male inesorabile. 


"The VVitch" è una tragedia familiare ambientata nel selvaggio New England del diciassettesimo secolo, e un esordio cinematografico grandioso da parte del giovane regista Robert Eggers a cui va tutto il merito di un film che non possiamo definire semplicisticamente "horror", ma che va appunto iscritto nella categoria estetica del tragico, con tutte le suggestioni del caso. Come avrete notato è da tempo che non frequento il blog perché non trovo il tempo materialmente adeguato da dedicare alla visione e alla recensione di film che reputo meritevoli di attenzione. Ma di fronte a un'opera di questa portata, mi diventa necessario sgomberare il tavolo da carte e cartacce inutili e trovare il tempo per rifletterci sopra adeguatamente. "The Witch" è riuscito a farmi uscire da un lungo periodo in cui il tempo della scrittura sembrava per me molto lontano: di questo innanzitutto ringrazio Eggers, ma soprattutto ringrazio i protagonisti di questa storia di stregoneria dell'oscuro '600 anglo-americano che sembra più disegnata dalla mente di uno Shakeaspeare che da un Eggars contemporaneo qualsiasi. 

Respiriamo qui, infatti,  la cultura e il pensiero magico del tempo, nel quale la natura è vista dall'uomo con gli occhi di un animismo primitivo assoluto, assecondato da un credo religioso delirante, assolutistico, che impregna le menti di tutti i componenti della famiglia, allevati nel più stretto rigore moralistico cristiano. I protagonisti, dicevo, sanno interpretare lo Zeitgeist in maniera mirabile: il giovanissimo Caleb in particolare, vera figura sacrificale che si assume sulle spalle tutto il peso del moralismo magico-fideistico distruttivo che deturpa tutto il sistema familiare in cui vive, moralismo fondato e trasmessogli naturalmente dal padre. La sequenza della possessione di Caleb è tra le cose più intense e perturbanti che abbia mai potuto vedere da molti anni a questa parte. Parliamo di inquadrature e piani sequenza che hanno la potenza pittorica di un Mantegna, soprattutto grazie alla fotografia sublime, eterea e insieme terrea di Jarin Blaschke, che sa portarci indietro di 300 anni avvolgendoci i luci e colori pallidi, sfumati, conferendo al volto di Thomasin tutto il senso tragico di un'adolescenza in fiore che sta per essere travolta dal dramma. 

Credenza religiosa, delirio, psicosi, si fondono insieme mentre fa da sfondo una natura completamente altra, rappresentante di forze aliene all'umano e che desiderano solo infliggere all'umano l'umiliazione della sua totale impotenza di fronte al male, all'insensato. 
Thomasin, la giovane figlia adolescente di Katherine e Will, cacciati dalla Comunità religiosa dove risiedevano perché ritenuti "estremisti", è il simbolo del "peccato" che fiorisce coi suoi seni prosperosi agli occhi del desiderio incestuoso del fratello Caleb: è dalla sessualità che passa il messaggio della Natura-Strega, e la sequenza in primo piano laterale del bacio della strega a Caleb, nell'oscurità minacciosa del bosco, contrappuntata dai sinistri, dissonanti suoni di strumenti a corde orchestrati divinamente da Mark Korven, è un'immagine esemplare, patognomonica di questo intreccio simbolico-archetipico primitivo, fondativo dello spirito di quel tempo. 

Eggers sa ricostruire quegli ambienti, quella mentalità intrisa di credenza magica allo stato puro, nella quale realtà e fantasmi demoniaci davvero erano creduti coabitanti effettivi della comunità umana: è il tempo in cui le fiabe sono intese come "fatti realmente accaduti" e guidano il pensiero dei protagonisti.

Dicevo che il film non è da considerarsi semplicemente un "horror", ma contemporaneamente lo è, e determina, istituisce, svela e trasmette angosce che definirei filogenetiche: le angosce dei nostri padri, dei nostri nonni e bisnonni, e degli avi nati prima di loro. Grandi suggestioni perturbanti, che arrivano da un passato molto lontano ci porta nelle nostre case ipertecnologiche questo regista così giovane tanto quanto geniale, bravo, attento ad ogni minimo particolare, non solo in fatto di ricostruzione storica (costumistica, linguistico-dialogica, ambientale e di allestimento scenico), ma anche di resa raffinatissima della psicologia dei personaggi, veri coloni del New-England, a tal punto che immagini che un colono di quel periodo e di quella zona geografica non potrebbe che essere stato così, come lo vediamo nel film.

Il tutto può apparire molto devozionale: i dialoghi sono tutto un "Io confesso", "Io prego Dio", "Siamo nati nel peccato", etc. ma è più che certo che Eggars abbia lungamente studiato la cultura di quel tempo e con molta attenzione, anche sul piano antropologico relativamente alle metodiche agricole dell'epoca. 

Nel film il Male arriva subdolo, prima mediato dalle parole di Thomasin durante un litigio coi due piccoli fratelli gemelli nella sequenza del ruscello, poi attraverso le cantilene canticchiate dai gemelli stessi, poi ancora dall'incontro (bellissima, struggente sequenza che ho guardato almeno tre volte consecutive) di Caleb con la strega, nel bosco.Il Male prende varie forme, come recita il sottotitolo che troviamo in locandina, e soprattutto ha la forma del "coniglio, del gatto, del lupo, della cornacchia, del montone e del cane nero", come urla Caleb steso sul suo giaciglio di paglia, posseduto dallo spirito della strega, prima di morire, tra gli urli disperati di sua madre. 

La funzione paterna di Will a questo punto subisce un crollo, un'implosione irreversibile, drammatica, una funzione paterna che vira in paranoia: non si fida più dei suoi figli, potrebbero essere tutti demoni, forse non li ha fatti lui, e a un certo punto chiede addirittura alla moglie di portarle l'accetta per uccidere come avrebbe fatto Abramo con Isacco, i suoi figli. Sì, perché qui non c'è nessun Dio che dall'alto fermerebbe la mano di Abramo. L'avvitamento catastrofico cui va incontro gradualmente la famiglia di Will è anche segnalata in modo molto raffinato, dal sottile cambiamento del registro linguistico. Eggers ci fa assistere e ci abitua dapprima a dialoghi tutti declinati sul piano del religioso ("Siamo nati nel peccato", "Preghiamo Dio e la sua Provvidenza perché ci liberi dei nostri peccati", "Ringraziamo Dio di cui siamo servi infedeli", etc. etc.), dialoghi che, dopo l'incontro con la strega, col Maligno, si trasformano in linguaggio in cui si infiltra la scurrilità sotto forma di una sessualità che fino ad allora era rimasta scissa e separata da tutto il resto del Sè dei protagonisti ("Godi ad avere la tua lingua in bocca a quella del Maligno!", urlarà Will a Thomasin nella sequenza in cui non si fida più dell'innocenza della figlia, immaginandosela come un strega). 

Tutto il film gioca su un Perturbante che trasforma il familiare in straniamento potente, mediato dal tema della sessualità come veicolo di morte e distruzione. Direi che proprio questo è il nucleo organizzatore centrale del film. Il patto narcisistico-psicotico-religioso che lega insieme questa famiglia, viene rotto dall'adolescenza di Thomasin e dalla preadolescenza di Caleb, dei quali vengono mostrati subliminalmente le fantasie incestuose e conflittuali, che fino a un certo punto rimangono compresse come esplosivo in una pentola a pressione sul fuoco, contenitore costituito dall'insieme dei valori religiosi, che poi esplodono utilizzando l'immaginario sovrannaturale per liberarsi selvaggiamente attraverso il personaggio-enzima della strega. 

La strega (The VVitch) è un oggetto evocativo, un personaggio a metà tra interno alla mente dei protagonisti (soprattutto i bambini e gli adolescenti della famiglia, non dimentichiamolo), e un oggetto esterno, "reale". La strega è un'allucinazione collettiva, tanto quanto la religiosità fondamentalista e costrittiva è un delirio collettivo. 

"The VVitch" è un'opera plurisfaccettata, opera d'arte pura, pura estetica del Perturbante allestita in modo drammaturgicamente avvincente e magistrale da un giovane regista che seguiremo da qui in poi con grande, grandissima attenzione, perché è rarissimo trovare una simile competenza e un simile rigore (di tipo kubrickiano) nel trattare a 360 gradi tematiche di script così differenti e così delicate (il tema storico, il tema perturbante, il tema-sottotesto religioso, il tema psicologico e la caratterizzazione addirittura bergmaniana dei dialoghi intensi, sofferti, tragici, tra i vari personaggi sulla scena). Film da non perdere, per nessuna ragione al mondo. 

Regia: Robert Eggers Soggetto e Sceneggiatura: Robert Eggers Fotografia:  Jarin Blaschke Musiche: Mark Korven  Cast: Anya Taylor-Joy, Ralph Ineson, Kate Dickie, Harvey Scrimshaw, Lucas Dawson, Ellie Grainger, Julian Richings, Bathsheba Garnett  Nazione: USA, Canada  Produzione: Parts and Labor, Rt Features, Rooks Nest Entertainment Durata: 1 h e 32 min.