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sabato 6 settembre 2014

Moebius, di Kim Ki-duk (2013)


Una madre, rosa dalla gelosia nei confronti del marito che la tradisce, vuole vendicarsi tentando di evirarlo. Non riuscendo nel suo intento, evira il figlio adolescente e fugge dall' abitazione di famiglia. Il padre cerca in tutti i modi di restituire al figlio la sua virilità così tragicamente perduta... 


"Moebius", presentato al Festival del Cinema di Venezia nella scorsa edizione, ci dice essenzialmente due cose: la prima è che l'uomo non è linguaggio ma emozione e impulso che nessun linguaggio sarà mai in grado di mediare o contenere o trasformare; la seconda è che la famiglia è una struttura psicosociale fondata sull'erotismo e sul conflitto, e che tale organizzazione emerge nella sua durezza disgregante nel momento in cui all'interno della famiglia stessa compare per la prima volta quell'"enzima" fino ad allora silente, quanto destabilizzante, che si chiama Adolescenza. 

Fin dalle prime sequenze Kim Ki-duk afferma perentoriamente l'elemento fortemente conflittuale e dirompente dell'Adolescenza, presentandoci i primi piani intensi del figlio che assiste al litigio  tra madre e padre (quasi una lotta greco-romana, in verità), costruendo poi successivamente tutto il plot intorno alla figura del ragazzo, o meglio, della sua evirazione da parte della madre. Un pò come a voler attribuire-proiettare una colpa alla sessualità/sensualità nascente (rappresentata dal giovane figlio) come elemento distruttivo di un "presepe vivente" quale la famiglia era stata fino ad allora. Il Gesù Bambino che era stato fino ad un certo punto il figlio, diviene infatti un demoniaco virgulto in preda ad eccitazione priapica, variazione musicale insopportabile per una madre-Fedra corrosa da gelosie ingestibili. Anche il padre è radicalmente contagiato dall'Eros adolescenziale e si lascia presto travolgere da passione amorosa, adulterina e trasgressiva, per non essere da meno di chi ha messo al mondo (anche il padre è invidioso, dunque, sebbene tale corrente sotterranea sia più sottilmente espressa). 

Kim Ki-duk ci squaderna davanti agli occhi tutto questa turbolenza generazionale con magistrale ed efficacissima ruvidezza, anche tecnica, una tecnica volutamente facilona, tagliata a colpi d'ascia, a tratti apparentemente dozzinale nella fattura (vedi certe zoomate in avanti sui volti, che probabilmente a me riuscirebbero anche meglio), ma chiaramente (almeno a parere di chi scrive) ricercata. L'immagine tuttavia permane nella sua potenza: come colore, come movimento, come ponte per veicolare la creatività. Durante la visione di questo film in alcuni momenti ho pensato infatti di trovarmi di fronte ad una scultura più che a un lungometraggio, una scultura in presa diretta, in fieri, ripresa cioè nel momento stesso in cui lo scultore la crea. Oppure di essere di fronte ad un'"action painting" di Pollock, ma dove l'opera include anche Pollock mentre la sta creando. Penso alle sequenze della pratica di auto-scorticamento erotico con la pietra, ad esempio, estremismo estetico che può certo lasciare perplessi, ma che si inscrive perfettamente, splendidamente direi, nel disegno creativamente demistificatorio sulla famiglia che il regista sudcoreano si prefigge. 

Eros e Morte, Eros e Conflitto mortale: questo è la Famiglia, nella sua trama profonda: una istituzione sociale sempre seduta su un vulcano che l'adolescenza può spesso far esplodere. E curiosamente si tratta di un'adolescenza fallico/genitale. Mi viene da dire "curiosamente" poiché  Kim Ki-duk insiste su questo aspetto, quasi avesse letto gli scritti dello psicoanalista inglese D. Meltzer, che ha descritto l'adolescenza (molti anni prima del regista) proprio come struttura intrapsichica che idealizza l'area fallico-genitale in tutte le sue forme e declinazioni onnipotenti e ossessive. 

Il Fallo, a un certo punto del film diventa appunto un'ossessione, cui, si direbbe. la madre originariamente (sia nel film che archetipicamente) ha dato vita per poi abbandonarla-evirarla. Il padre cerca di far di tutto per restituire la virilità perduta a un figlio gemello speculare di sè, arrivando al punto di perdere la sua per donarla al ragazzo, in un atto di pura, purissima marca sado-masochistica. In realtà la vera iniziazione all'età adulta non sarà affatto fornita al figlio dal padre, ma dal gruppo dei pari (vedi la lunga, interessantissima sequenza dello stupro collettivo nel negozietto di periferia, dopo la "prima sigaretta", Una sequenza che ulteriormente sancisce il destino intrinsecamente fallimentare della famiglia, secondo la visione assolutamente pessimistica di Kim Ki-duk). 

Il film è completamente privo di dialoghi. E' per questo che dicevamo che uno degli intenti dell'autore è certamente quello di sottolineare la soverchiante ed incontenibile potenza dell'emozione e dell'azione-agito rispetto a quella del pensiero-simbolo-affetto. Penso che questo stilema rappresenti la forza maggiormente perturbante di tutto il film. Non sono tanto le crude sequenza di accoltellamenti, violenze sessuali, cannibalismi vari a generare inquietudine. E' l'assenza di speranza circa il potere di ciò che lega la pulsione, potere che, secondo Kim Ki-duk è del tutto effimero. La violenza delle emozioni è ciò che regge il mondo, nettunianamente, abissalmente. Il resto sono tutte sciocchezze. Da qui a condurre una regia che può apparire semplicistica e banale il passo è breve, ma è scelta stilistica invece oltremodo azzeccata, perché isomorfa e coerente al contenuto dell'idea di fondo. 

Un'idea che porta il regista a massacrare i suoi personaggi, si potrebbe dire a de-animarli, a renderli prossimi al regno minerale, meri involucri di passioni bestiali, divorati da invidie e desideri mimetici shakesperiani, impossibilitati a qualsiasi progettualità, o come immobilizzati eternamente in un dramma beckettiano. "Moebius" è infatti un circolo vizioso che non potrà mai diventare virtuoso, che mai si potrà spezzare, come il famoso nastro di Moebius, illusione ottica ma anche concetto matematico molto pregnante nel suo rappresentare una superficie non orientabile, cioè priva di un "interno" e di un "esterno". 

Film afasico, eminentemente visivo-emotivo, dai toni tragici in senso più occidentale che orientale, "Moebius" si pone l'obiettivo di studiare la fastidiosa e sporca chimica degli elementi emotivi che la bile familiare secerne quotidianamente dai bassifondi inconsci del legame narcisistico che la fonda (una sorta di nastro di  Moebius affettivo a volte davvero inestricabile e violento, appunto). Film per tutti questi motivi da vedere.   


Regia: Kim Ki-duk Soggetto e Sceneggiatura: Kim Ki-duk   Fotografia: Kim Ki-duk Musiche: Park In-young  Montaggio: Kim Ki-duk  Cast:  Eun-woo Lee, Jae-hyeon Jo, Young-ju Seo   Nazione:  Corea del Sud  Produzione: Kim Ki-duk Film   Durata: 89 min.  
   

2 commenti:

  1. Ben ritrovato, Angelo.

    Scrittura impeccabile e pensiero originale, come sempre.

    Parli di "Mimetici Desideri" ed io domando: Credi esista un percorso algoritmico - Inteso come numero finito di passi, dimenticane la freddezza matematica - Per rianimarsi e giungere a completa risoluzione del problema?

    Cristian

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  2. Grazie del saluto, caro Cristian. Come vedi è un periodo in cui non ho molto tempo per aggiornare il blog. Spero di rifarmi, con nuove recensioni, al più presto :)

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