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giovedì 28 febbraio 2013

Bentornato Malpertuis!


E' con grande piacere che scrivo questo post, perché riguarda un blogger che ritengo uno dei più interessanti pensatori presenti sulla rete, in ambito cultural-cinematografico-perturbante. Sto parlando naturalmente di Elvezio Sciallis che l'anno scorso aveva chiuso il suo blog, nauseato da vari aspetti della blogsfera, nonché da certi ambienti editoriali in particolare italiani. Sono stato un follower del suo blog di recensioni cinematografiche e altro quasi da sempre, anzi lo ringrazio ancora oggi per avermi fatto conoscere territori filmico-artistici sconosciuti, elementi che hanno influenzato grandemente il taglio del mio artigianale blog. Quando ha chiuso il suo, tutti i suoi lettori hanno decisamente avvertito un senso di perdita, di mancanza: il suo stile corrosivo e implacabile, la sua lucidità di pensiero e scrittura, il suo essere schivo in modo così acutamente "anti-postmoderno", sono aspetti del suo muoversi che me lo hanno sempre reso simpatico. Adesso ha deciso di riaprire un suo blog senza possibilità di commenti, ma che è possibile naturalmente seguire pubblicamente, e nel quale trovate recensioni di film e molto altro ancora. Suggerisco vivamente (ma dei miei suggerimenti Elvezio non ha certo bisogno)  di linkarlo e leggerlo con molta attenzione: i suoi post sono di solito molto lunghi e pensosi, ma appunto per questo motivo vanno letti con cura e attenzione, cioè perché promuovono il pensiero, sono stimolanti e contengono spesso paradossi che aprono a ulteriorità enigmatiche di cui abbiamo tutti bisogno come ossigeno in questi mefitici e precari tempi che viviamo. Tempi di novità e cambiamenti comunque interessanti cui il contributo di pensiero di Elvezio credo sia molto, molto utile, e quindi da segnalare come sto facendo con questo post. Non ultimo aspetto importante che desideravo sottolineare qui è lo stile di scrittura di Elvezio, uno stile che trasmette una pacata forza tranquilla e insieme illuminante relativamente ai territori che esplora. Non dimentico di linkare qui l'indirizzo del suo blog Worpress, ma lo trovate anche sul mio blogroll: http://malpertuis.org/ . Bentornato, Malpertuis!

martedì 12 febbraio 2013

Tu sei il male, di Roberto Costantini (2011)


Anno: 2011    Editore: Marsilio, Farfalle, i Gialli  Pagine: 669   ISBN: 978-88-317-1311-5   Euro: 14,00.


Roma, luglio 1982. La sera della vittoria italiana ai Mondiali di calcio, Elisa Sordi, giovane impiegata presso una società immobiliare del Vaticano, scompare nel nulla. L'inchiesta viene affidata a Michele Balistreri, giovane commissario dal passato ambiguo, arrogante tardo adolescente svogliato, che prende sotto gamba il caso. Solo quando il corpo di Elisa Sordi viene trovato barbaramente seviziato sulle sponde del Tevere, Balistreri si butterà a capofitto nelle indagini, ma non riuscirà a risolvere il misterioso caso.
Roma, luglio 2006. Mentre gli azzurri battono la Francia ai Mondiali di Germania, Giovanna Sordi, madre di Elisa, si uccide buttandosi dal balcone di casa sua. Michele Balistreri, che nel frattempo è divenuto il capo della Sezione Speciale Stranieri della Capitale, è molto cambiato da quel lontano 1982: trascina stancamente la sua vita facendo uso di antidepressivi, il ragazzo rancoroso, arrogante e sciupafemmine quale era non è per che un vago e colpevole ricordo. Il suicidio dell'anziana donna non fa altro che accentuare i suoi rimorsi, spingendolo a riaprire il caso di Elisa. Riaprire il caso avrà un prezzo ben più alto del previsto. 

Chi mi conosce sa, penso, che mi piace leggere mattoni di seicento e rotti pagine alla volta, soprattutto se ascrivibili al genere thriller, ma devono essere storie meritevoli come cose  scritte ad esempio da Larrson , oppure Nesbo. Raro peraltro che un italiano srotoli seicento pagine di un libro che sappia tenermi incollato alla vicenda che va narrando, come invece di solito sanno fare i giallisti scandinavi, con qualche eccezione recente di Indridason e con assoluta eccezione della tremenda Holt. Con il suo romanzo d'esordio, "Tu sei il male", Roberto Costantini riesce nell'intento di catturare decisamente la mia attenzione, attraverso una scrittura precisa, dettagliata nella descrizione di ambienti degradati e altolocati di Roma in un arco di tempo che va dal 1982 ai giorni nostri, e pur diventando prolisso intorno a pagina 400, sa riafferrare il mio interesse a pagina 500, mediante la costruzione di una storia avvincente che qui da noi da tempo non si leggeva. Costantini squaderna un foltissimo gruppo di personaggi e li fa vivere nelle sue pagine con una facilità e serietà invidiabili, pur diventando un pò pedante e leggermente legnoso in alcune caratterizzazioni. Questo difetto glielo si perdona tuttavia, proprio perché si tratta del suo primo romanzo, e sfido chiunque a evitare qualche sbavatura dopo aver prodotto un numero di pagine che si avvicina molto a quelle de "I fratelli Karamazov" (che sono 1.120 nell'Edizione tascabile Einaudi). Ma veniamo alla storia. L'impianto è decisamente solido, si fonda essenzialmente su una ricostruzione minuziosa  degli ambienti curiali e nobiliari romani degli anni '80, evidenziandone vizi e trame oscure in cui si intrecciano i rapporti tra Vaticano e Stato italiano. All'interno di tali ambienti, la Roma degli indigenti e quella dei ricchi arrivisti si incontra su un terreno di soprusi e di potere nel quale nasce e cresce il germe distruttivo di un serial killer, l'"Uomo Invisibile", come lo chiamerà Michele Balistreri, perfetto protagonista a sua volta figlio di questo ambiente malato. Balistreri si renderà conto tuttavia solo trent'anni dopo gli avvenimenti che fanno da sfondo alla prima parte del libro, che ha a che fare con un serial killer. Divorato dai rimorsi e dal senso di colpa, cercherà dopo tanti anni un riscatto, non solo rispetto al suo aver preso sotto gamba il caso di Elisa Sordi, ma anche rispetto alla vita precedentemente vissuta con cinismo e malafede. Da questo plot deriva la buona caratterizzazione del personaggio di un poliziotto dolente, depresso, che si confronta edipicamente con un fratello uomo di successo e felice della sua vita. Un personaggio molto italiano, nel quale è facile identificarsi, forse un pò troppo tormentato per i miei personali gusti, che preferiscono detective più surreali come l'Adamsberg della Vargas, oppure quel buontempone di Maigret, ma comunque intenso e credibile. Balistreri regge bene la scena fino all'ultima pagina, sebbene nell'ultima concitata parte, Costantini  descriva i cambiamenti fisici e psicologici di Michele in modo troppo frettoloso e funzionale all'intreccio (si vedano gli interrogatori a Marius Hagi nel carcere di Regina Coeli, dove Balistreri mostra una stanchezza e un discontrollo emotivo narrati con modalità piuttosto spicce che ne danno un'immagine poco credibile). I personaggi femminili sono invece, tutti, molto ben curati, e sono molti, di età, estrazione, cultura tra le più varie, ma tutti molti credibili, vivi, reali. Quello che interessa a Costantini è tuttavia anche il sottotesto sociopolitico, elemento che non disturba affatto la struttura tipologica del thriller, ma al contrario propone e consente riflessioni profonde al lettore, soprattutto in relazione al problema dell'integrazione degli extracomunitari e al rapporto tra immigrazione, mancata integrazione e criminalità. Forse un pò debordante in alcuni punti, come una quiche lorraine nella quale il cuoco ha messo troppa panna, questo "Tu sei il male" di Roberto Costantini merita comunque e senza dubbio tutta la nostra attenzione. C'è passione in questo libro, c'è amore sincero per il proprio paese, c'è senso di responsabilità, tutti elementi preziosi come il pane in tempo di guerra, in questa fase storica complessa e insicura che stiamo attraversando (da tutti i punti di vista: politico, economico, culturale, valoriale). Bisogna però armarsi di pazienza, tempo e uguale amore per la lettura, se si vuole arrivare alla fine delle lunghe seicento pagine del volume. Siete avvertiti. 

lunedì 4 febbraio 2013

Mama, di Andres Muschietti (2013)


Annabel e Lucas sono una coppia di trentenni che si trovano davanti a una scelta difficile: quella di dover allevare tra le mura della loro casa le due piccole figlie della sorella di lui, Lilly e Victoria.Le due bimbe, sei anni la prima e pochi di più la seconda, sono state ritrovate in una casa isolata nei boschi, dove hanno vissuto da sole per cinque anni, abbandonate dal padre. Annabel a Lucas sanno di non avere un compito facile: Lilly e Victoria sono poco più che selvagge piene di paura e cattive abitudini. Ma c'è dell'altro. Lilly non fa che chiamare la sua "mama" e un'atmosfera di nera inquietudine cala sulla loro nuova casa, senza contare i numerosi episodi inspiegabili e perturbanti che avvengono sempre più frequentemente tra quelle mura. Le due bimbe sono state veramente da sole in quei cinque anni? Cosa ha vissuto con loro? Cosa le ha seguite in quella casa?

Da un pò di tempo a questa parte Guillermo del Toro preferisce decisamente fare l'executive producer eclettico ("Le Cinque Leggende", 2012, "Il Gatto con gli Stivali", 2011 e altre varie amenità), piuttosto che il regista. Probabilmente si diverte di più, sta invecchiando, fatto sta che assomiglia sempre più ad una Maria De Filippi del cinema horror-fantasy alla caccia di nuovi talenti da sostenere e promuovere. E' proprio quello che succede in questo "Mama", dello sconosciuto giovane spagnolo Andres Muschietti, il quale dopo aver confezionato un corto che porta lo stesso titolo del lungometraggio prodotto da Del Toro in persona, viene collocato alla regia dall'autore di "Hellboy" per sviluppare l'idea originaria ed estenderla ad una pellicola più corposa e visibile ai più. Il risultato è quello di mostrare atmosfere horror molto spanish nella tempistica del girato, nonché nella costruzione dei dialoghi e delle caratterizzazioni: il tutto è cioè molto vellutato e moody, ma contemporaneamente abbastanza creativo nella generazione di sequenze inquietanti e di colpi di scena che non ci aspetteremmo (a soli 10 minuti di pellicola assistiamo ad esempio all'invasione del sovrannaturale attraverso una modalità che indubbiamente spiazza le comuni aspettative dello spettatore). Le due bambine selvagge, Lilly e Victoria sono poi caratterizzate molto sapientemente e producono un effetto perturbante, basti pensare allo sguardo di Victoria da dietro i suoi occhialini da miope. La bella fotografia di Antonio Riestra conferisce un'aura di mistero, di fiabesco e di sospensivo al tutto, dando ulteriore spessore a una storia che, in sè, non arriva a produrre slanci innovativi particolari nel genere cinematografico perturbante. Sto dicendo cioè che "Mama" è una buona prova d'esordio registico da parte di un Muschietti che è peraltro molto aiutato dalla mano paterna di Del Toro, che ammicca dietro la cinepresa e del quale si sente lo stile e l'ispirazione. I pregi del film tuttavia si fermano qui: il film non esplora territori sconosciuti e neppure elabora nuovi punti di vista o soluzioni originali. Si limita a raccontare una storia dai rimandi anche polisemici (il rapporto con la Natura e la sua misteriosa e magica estraneità; il mito del "bambino selvaggio", molto europeo, dalle sfumature filosofeggianti; il sovrannaturale che entra nel quotidiano rompendo il rassicurante intimismo familiare; il tema, molto psicoanalitico, del "materno" e delle sue trasformazioni immaginifiche e fantasmatiche, legate  a doppio filo con quelli dell'abbandono, della Morte e del Lutto), che sono rimandi anche piuttosto suggestivi e aperti a ermeneutiche plurime, ma lì si ferma, e la nostra impressione complessiva è quella del già visto. In sintesi "Mama" si fa agevolmente guardare, anche per via di una protagonista femminile giovane, bella e brava (una Jessica Chastain molto indicata rispetto al ruolo che assolve nel plot) nell'interpretare una zia alle prese con problemi di gestione familiare notevoli, avendo il marito pure ospedalizzato. Ma la conduzione generale della storia rimane prigioniera di topoi risaputi e un pò stanchi, che non permettono al film di splendere di una qualche luce significativa. Se a tale aspetto si aggiunge il fatto che la parte centrale sembra davvero un pò troppo diluita, anche perché trasformare un corto in lungometraggio non è una cosa semplicissima, allora possiamo giungere a dire che "Mama", sotto certi aspetti è anche un'occasione persa, una storia che poteva dare di più di quello che ci mostra. Inoltre, tutto sommato, anche i tre protagonisti adulti, Annabel, Lucas, il Dr. Dreyfuss, non interagiscono tra loro mediante geometrie relazionali particolarmente significative. Insomma, il film è da vedere, ma senza particolari aspettative. 
Regia: Andres Muschietti Soggetto e Sceneggiatura: Andres Muschietti, Barbara Muschietti, Neil Cross   Fotografia:Antonio Riestra  Montaggio: Michele Conroy  Musiche: Fernando Velàzquez  Cast: Jessica Chastain, Nikolaj Coster Waldau, Megan Charpentier, Jane Moffat, Daniel Cash, Julia Chantrey, Isabelle Nèlissem Nazione: Spagna, Canada    Produzione: Toma 78, De Milo   Durata: 100 min.