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domenica 30 dicembre 2012

Blade Runner, di Ridley Scott, Edizione da Collezione per il 30° Anniversario (Warner, 2012)

Visto che Babbo Natale mi ha messo sotto l'albero questo bellissimo regalo, mi viene naturale recensirlo brevemente qui, perché è una vera chicca per appassionati del Ridley Scott di una volta (non quello recente di "Prometheus" e compagnia bella). In occasione del 30° anniversario dell'uscita del film, la Warner Home Video pubblica questa edizione davvero imperdibile che comprende: Versione Cinematografica Originale (1982); Versione Director's Cut (1991); Versione "Final Cut" (2007);la rara Versione Copia Lavoro; foto di produzione inedite, più di mille immagini di archivio in alta definizione, libretto di 72 pagine; una replica della "Spinner" su bozza originale di Syd Mead. Sono inoltre incluse più di 10 ore di contenuti speciali (già rilasciati peraltro nel 2007), tra i quali il documentario "Dangerous Days" sul percorso realizzativo del film. Non si può dunque che consigliare agli amanti di questo film mitopoieticamente fondativo dell'immaginario contemporaneo, di farsi regalare al più presto questo prezioso cofanetto, anche (o soprattutto) per riattivare memorie, deja vu, sogni, pensieri  o altro. Utile anche per cogliere quanta distanza esista tra quel Ridley Scott e le sue più recenti produzioni, cioè per avere una riprova, non scontata, di quanto i tempi (culturali, ambientali, psicologici) siano cambiati da quel lontano 1982...

sabato 22 dicembre 2012

Auguri e Strenne Natalize

Nell'augurare a tutti i lettori del blog, commentatori o meno, scrutatori silenti e Anonimi, nonché passeggeri tranquilli o inquieti provenienti da varie lande, Buon Natale e Felice 2013, annoto qui alcuni suggerimenti per libri da leggere, Cd da ascoltare e film, profondi o ameni da vedere nei pomeriggi o nelle serate delle feste natalizie incipienti. I suggerimenti portano un breve commento orientativo per ogni libro/CD/film. Come vedrete, non c'è niente di molto "perturbante" in questi suggerimenti, ma è Natale, e stiamo entrando in un nuovo anno. Quindi è giusto che gli orizzonti si allarghino, ogni tanto, no?

     
                                           Garzanti, 2012, Euro 18,80

Il libro (postumo e scritto per quasi due terzi da Richard Preston) di Michael Crichton, si pone sulla linea narrativa dei precedenti "Preda" e "Timeline". Ritmo incalzante, da film d'azione, storia intrigante sebbene non molto nuova. Biente di profondo, intendiamoci, ma utile comunque per liberarsi la mente seguendo le peripezie di sette studenti universitari rimpiccioliti a dimensioni di formiche, e persi nelle foreste inospitali delle Hawaii. 

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                                      Einaudi, 2012, Euro 22,00

Dagli autore del bellissimo "Tre secondi", racconta di Josè Pereira, della sezione Crimini Organizzati alle prese con bande di ragazzini criminali. Chi ha già letto il primo libro di Roslund & Hellstrom, non può farselo scappare. 

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Universal, 2012, Euro 14,48 (su Amazon.it)

Bellissima ultima prova di Battiato, dal mio punto di vista anche molto "psicoanalitica", ispirata cioè dall'interiorità e dalla riflessione filosofica, al limite del misticismo, ma musicalmente originale, innovativa, oserei dire. 

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                                        di Joe Carnahan, Open Road Films, 2011. 

Già recensito su queste pagine, il film di Carnahan è un'amara riflessione sulla vita e sulla morte. Molto "pensoso", ma soprattutto per questo merita una visione, in una ricorrenza come il Natale, sempre, e spesso solo, consumistica.


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                       di Peter Ramsey, DreamWorks Animation, 2012


E' la storia di un gruppo di eroi ben conosciuti dai bambini: Babbo Natale, la Fatina dei Denti, il Coniglio Pasquale. L'"Uomo Nero" li minaccia e i nostri eroi devono unirsi per proteggere le speranze di tutti i bambini del mondo. Questo film d'animazione, (tratta dai romanzi fantasy di William Joyce) non è certamente un capolavoro, ma si fa vedere, soprattutto se si hanno bambini.   

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  di Franco La Cecla, Eleithera, 2009, Euro 10,00.

Un libro sull'antropologia del corpo e della sua gestualità, tra ritualità e spontaneità, dove l'"autenticità" e la "naturalezza" si intrecciano con l'identificazione col gruppo e coi gruppi cui apparteniamo.                                 

lunedì 17 dicembre 2012

Cherry Tree Lane, di Paul Andrew Williams (2010)



Una coppia inglese viene terrorizzata da una gang di adolescenti delinquenti, che irrompe nella casa in cui abita, durante la cena. I ragazzi cercano il figlio della coppia, Sebastian, cui stanno dando la caccia...

"Cherry Tree Lane" è un film molto duro e indigesto, interessante sotto vari profili, ma criticabile  da altri vertici che cercherò qui di descrivere insieme ai suoi pregi. Intanto il regista Paul Andrew Williams è quel signore che ha scritto "The Children" (2008), nonché girato "London to Brighton" (2006) e "The Cottage" (2008), cioè un interessante writer e filmaker del filone perturbante cinematografico britannico. Il cinema horror inglese, si sa, raramente delude, innanzitutto perché è coerente nel mostrare delle verità molto scomode ma reali, insite nel tessuto sociale di quella cultura (basti qui citare "Eden Lake", di James Watkins, 2008).  In "Cherry Tree Lane" Williams affronta il tema spinoso delle nuove gang giovanili anglosassoni, nelle quali primitività e tecnologia, spirito da "branco animale" e abitudine casalinga da canale satellitare, coesistono in un mélange grottesco quanto violentemente a-morale e sociopatico. La linea poetica di Williams è questa e la pellicola vi rimane inchiodata dalla prima sequenza all'ultima, attraverso un "tempo reale" del racconto che ci obbliga a seguire le traumatiche vicende di Christine e Michael come in presa diretta. E' la caratterizzazione del gruppo delinquenziale dei ragazzi assalitori tuttavia a rappresentare l'elemento maggiormente riuscito del film, e su tale aspetto occorre soffermarsi con attenzione, poichè è un prezioso contributo, a mio avviso, non solo in ambito artistico-cinematografico, ma anche sul piano della psicologia/psicopatologia dei gruppi giovanili. Potremmo infatti essere dalle parti di un' "Arancia Meccanica" (1971) dei tempi odierni, oppure nei paraggi di un "Funny Games" (1997) tutto british version, ma quello che soprattutto interessa a Williams è farci cogliere la dinamica gruppale, la filigrana dell'"assunto di base" emotivo del gruppo degli adolescenti all'opera. Un gruppo "fondamentalista", chiuso nel proprio piccolo, violento mondo, nel quale ciò che conta narcisisticamente è l'oscillazione continua tra tradimento del gruppo stesso e vendetta nei confronti di questo tradimento vissuto come sopruso intollerabile. La realtà non esiste, esiste solo questo tessuto emotivo primitivo, fatto di intolleranza della frustrazione da parte dell'assetto emotivo del gruppo, della sua mentalità dominante. Tale mentalità ("assunto di base", come la definirebbe lo psicoanalista e gruppoanalista inglese Bion) è incarnata dal leader dei ragazzi, Rian (Jumayn Hunter), personaggio la cui malevolenza intrinseca supera quella di qualsiasi horror villain volessimo prendere in considerazione, e la supera proprio perché Rian riceve un investimento emotivo da parte del gruppo. Rian rappresenta il leader populista per eccellenza, il trascinatore di folle, il potere per il potere, cioè l'assenza di pensiero a favore dell'impulso puro, narcisistico, autoaffermativo. Rian è dunque il simbolo dell'onnipotenza, della fantasia di autogenerazione, dell'assenza del limite, e tali caratteristiche sono un motore la cui benzina è il gruppo stesso e le dinamiche assecondanti dei followers. Se cioè i ragazzi e le ragazze del gruppo non pendessero dalle sue labbra e dai suoi coltelli ben affilati, allora la potenza del leader si sgonfierebbe come un palloncino bucato. Invece i componenti della gang cedono alla promessa delirante di Rian, che li seduce all'idea che anche loro possono fare tutto ciò che vogliono, a patto di accettare l'assunto di base del gruppo, di identificarsi con esso, perdendo però la loro individualità. Sebastian, il figlio della coppia sequestrata, rappresenta infatti la soggettività dell'individuo che tradisce il gruppo e la sua mentalità patologica. Sebastian è una "spia", come dirà Asad (Ashley Chin), uno dei ragazzi, a Christine, la madre, un traditore del patto scellerato che lega il gruppo. Quindi l'identità nella sua autonomia ed auto-espressività rispetto al clan, va distrutta. La gang capeggiata da Rian va a caccia di Sebastian perché lui mette in scena la differenza dal gruppo, il "nemico esterno", e va così eliminato. Williams appronta un casting e dei dialoghi perfettamente espressivi delle dinamiche che sto qui cercando di descrivere: uno slang giovanile, una mimica, un modo di camminare, un atteggiamento ipercontrollante e insieme infantile, allestiti con grande cura realistica. Il regista è cioè capace, quasi fosse un antropologo studioso di gang suburbane inglesi, di farci sentire di quale atmosfera emotiva si nutre il gruppo. Non si tratta poi di un insieme di giovani sbandati e tossici, bensì di "amici" del figlio, appartenenti cioè alla middle-class inglese come Christine e Michael, viziati e ipernutriti dalle mode televisive e tecnologiche del momento (agghiacciante la sequenza in cui Asad chiede a Michael, imbavagliato sul pavimento, qual'è il tasto della guida del telecomando dei canali satellitari, semplicemente perché in tv c'è un canale che a lui manca: ricevuta la risposta da Michael, Asad telefona tranquillamente alla madre chiedendole di sintonizzargli quel canale, come se nulla fosse). Il film di Williams porta dunque con sé una profonda riflessione sui guasti sociali provocati dall'assenza assoluta di prevenzione e comprensione del disagio giovanile, in terra anglosassone. Gli aspetti criticabili, di cui accennavo all'inizio, riguardano una regia forse un pò fredda e troppo real-time oriented, che si traduce in sequenze (soprattutto iniziali) un pò lente e in scambi dialogici un pò troppo diluiti, troppo congelati da una fotografia (di Carlos Catalàn) eccessivamente acida e accesa. L'asciutta sceneggiatura riesce comunque a dare il suo meglio nel finale, drammaticissimo, che lascia l'amaro in bocca ma innesta pensieri e prospettive di riflessione sul terreno psichico di chi guarda. "Cherry Tree Lane": una nuova buona performance del cinema perturbante inglese. Da vedere. 
Regia: Paul Andrew Williams Soggetto e Sceneggiatura: Paul Andrew Williams   Fotografia: Carlos Catalàn   Montaggio: Tom Hemmings   Cast: Rachael Blake, Tom Butcher, Jennie Jaques, Jumayn Hunter, Tom Kane, Sonny Muslim   Nazione: UK   Produzione: Limelight, Steel Mill Puctures    Durata:  77 min.

  

domenica 9 dicembre 2012

The Grey, di Joe Carnahan (2012)



L'aereo su cui viaggia un gruppo di lavoratori di un un oleodotto, precipita in una zona sperduta dell'Alaska. I pochi sopravvissuti, tra cui il protagonista Ottway, si ritrovano ben presto a dover lottare non solo contro la rigidità del clima e un ambiente ostile, ma soprattutto contro un branco di lupi famelici. Ottway e i suoi compagni decidono di abbandonare il luogo dello schianto e di dirigersi verso i boschi, nel tentativo disperato di salvare le loro vite...

Ad una prima, superficialissima lettura, "The Grey" è un survival drama che ci racconta di un gruppo di superstiti di un incidente aereo alle prese con una natura ostile e con un destino che più cinico e baro non si può. Tale lettura si autodemistifica però immediatamente: dopo poche, essenziali sequenze Joe Carnahan ci conduce subito nei sotterranei di una profondità filosofica che, lo confesso, non mi sarei aspettato dal regista di "A-Team" (2010). Carnahan ci parla subito della morte, non appena imbracciata la cinepresa, e della sua costante, imprevedibile presenza all'interno della vita di ogni uomo, e lo fa mediante l'interpretazione intensissima di un Liam Neeson che non è mai stato un attore da me molto amato, con quella sua faccia da anziano cameriere di trattoria del Michigan. Qui invece Neeson si riscatta completamente, subisce una metamorfosi psicofisica incredibile. Già da una delle prime toccanti sequenze in cui tiene la mano di un compagno che sta per morire e lo guarda con infinita commozione, si capisce che il film ce ne farà vedere delle belle, anzi, ci farà pensare, ci obbligherà a pensare, soprattutto al tema della perdita. Ma non solo, scopriremo poi. Il film è molto lungo (117 minuti) ma non ti lascia mai un secondo, non ti permette di abbandonare questi rozzi e bizzosi operai statunitensi a se stessi. Carnahan ti chiede di seguirli, di stare con loro, e tu lo fai, semplicemente, perché la loro storia è metaforicamente, anche la tua. Non lo vuoi ammettere, ma è così. Carnahan ci parla dell'impietosa verità che l'esistenza ha un limite, e che per molti esseri umani essa è molto più dura di altri, più drammatica, più faticosa e ostile, sebbene cerchiamo spesso di non vedere e accettare tale verità.  Il film ricorda molto lo stile di Malick, soprattutto negli eterei flashback in cui Ottway si rivede nel letto con la defunta moglie, cui scrive lettere perché non ha mai accettato questa terribile prova luttuosa. Ma Carnahan è un Malick decisamente meno metafisico, e che soprattutto non usa l'immagine come metafora o suggestione simbolica che rimanda ad un Altro-da-sè inattingibile. In "The Grey" il regista attinge invece ad un substrato filosofico che potremmo definire, se ce ne fosse bisogno, esistenzialista, là dove, sartrianamente "l'inferno è la Natura", al posto di "l'inferno sono gli altri". Una Natura leopardiana, darwiniana, insensata dal punto di vista dell'uomo, e che obbliga l'uomo stesso ad un costante, sempiterno lavoro di scarto e fuga verso ciò che si definisce come "umano" rispetto a ciò che si definisce come "animale". In tal senso la bellissima sequenza del bosco in cui vediamo il gruppo di superstiti ascoltare gli ululati lontani dei lupi che non vedono l'ora di poterli aggredire nel buio della notte, è un esempio di grandissima poesia cinematografica della quale dobbiamo ringraziare l'ispirazione di Carnahan. "The Grey" è un film sulla fragilità umana, su quella hilflosigkeit (impotenza) su cui Freud si è soffermato più volte, e che fonda la relazione, il legame affettivo tra gli individui, la loro etica. E' il gruppo, il legame, appunto, tra operai superstiti,  l'unico strumento utile a sopravvivere alle intemperie e agli attacchi dei lupi. Legame anch'esso fragile, naturalmente, che si spezza facilmente per via della conflittualità, del Caso, della stessa Natura. Non è un fatto fortuito, credo, che il film sia tutto al maschile. Le uniche presenze femminili consolatorie sono la moglie morta di Ottway che compare però come miraggio fantasmatico, nonché la piccola figlia di uno dei protagonisti, che arriverà a "visitarlo" un attimo prima che muoia. In questo film, cioè, non c'è spazio per la speranza, non c'è spazio per l'illusione: nessuna evasione è possibile. Impotenza e caducità sono le uniche categorie kantiane possibili e passabili per un regista e sceneggiatore che, aiutato da una fotografia asciutta e scarna (dell'ottimo Takayanagi), ci racconta un'altrettanto scarna e beckettiana storia nella quale vivere è sinonimo di sopravvivere. Sopravvivere alla continua perdita che costituisce il tratto distintivo della vita. In questo senso Carnhan non ci dà tregua nel sottolineare tale aspetto (si veda ad esempio una delle ultime sequenze, quella del torrente, in cui Ottway si getta in acqua nel tentativo di salvare un compagno dall'annegamento), e questa insistenza è forse l'unico elemento criticabile del film, ma che non scalfisce, anzi accentua la solida coerenza della sua poetica. Molte possono essere, naturalmente le letture possibili di questa pellicola così densamente popolato di fantasmi mortiferi. Da un vertice di osservazione psicoanalitico, ad esempio, tutta la vicenda può essere anche vista come l'azione distruttiva di un Super-Io sadico proiettato sulla Natura Matrigna che "mangia" i suoi figli, invece di nutrirli e ricompensarli delle loro fatiche. "Proiezione" determinata probabilmente da aspetti profondamente depressivo-pessimistici che albergano nella sceneggiatura e in chi l'ha così ideata, ma che trovano almeno espressione e rappresentazione (figurabilità) nel corso di tutta la pellicola. Aldilà delle possibili letture, il film è un'opera tutta centrata sulla solitudine assoluta dell'uomo rispetto alle proprie responsabilità esistenziali, e sulla assoluta necessità di un lavoro costante circa queste responsabilità. "The Grey": film poetico, struggente, filosofico in senso malickiano. Da vedere assolutamente pur facendo attenzione ad avere i bioritmi a un buon livello mentre lo si guarda. 
Regia: Joe Carnahan Soggetto e Sceneggiatura: Joe Carnahan, Ian Jeffers Fotografia: Masanobu Takayanagi Montaggio: Roger Barton, Jason Hellmann Musiche: Marc Streitenfeld  Cast: Liam Neeson, Dermot Mulroney, James Badge Dale, Dallas Roberts, Joe Anderson, Frank Grillo, Nonso Anozie, Ben Bray  Nazione: USA Produzione: Open Road Films, Inferno Distribution, LD Entertainment  Durata: 117 min. 
  

domenica 2 dicembre 2012

Gotico rurale, di Eraldo Baldini (2012)


Anno: 2012   Editore: Einaudi, Collana Stile Libero  Pagine: 241  ISBN: 978-88-06-20972-8  Euro: 17,50

In questa raccolta di racconti, tutti già editi su varie riviste di genere (dal 200 al 2012), e che comprende però un racconto inedito ("I denti del nonno"), Eraldo Baldini prosegue la sua ricerca all'interno del perturbante letterario rurale. 

Mi sembra utile partire dalla postfazione di Francesco Guccini alla prima edizione di questo libro di Eraldo Baldini (Frassinelli, 2000), ripubblicato da Einaudi del tutto riveduto e corretto. Scrive Guccini: "Al mio paese, i vecchi, parlando del passato, dicevano sempre che, nelle lunghe notti d'inverno, si radunavano 'a veglia' in casa dell'uno o dell'altro e lì, per passare il tempo, un narratore raccontava storie; il più delle volte si trattava di vicende misteriose, di apparizioni o sparizioni improvvise, di case in cui qualcosa di inquietante era avvenuto e in qualche modo 'ci si sentiva' di personaggi malefici e mitici nei quali però sovente credevano; insomma, si raccontavano storie per 'farsi paura'". Guccini prosegue asserendo che Baldini ben conosce questi ambienti agricoli, rurali appunto, e li usa come ideale sfondo per la sua letteratura perturbante. Come non essere d'accordo con Guccini? Il libro di Baldini, di cui avevo già letto l'interessantissima raccolta di racconti "Bambini, ragni e altri predatori" (Einaudi, 2003), mi ha fatto un'ottima impressione. Ma direi che è proprio l'ambientazione arcadico-perturbante di tutti i racconti a rendere il libro molto omogeneo aldilà della frammentazione narrativa che ogni antologia comporta. In "Gotico rurale" è infatti la Natura, declinata  di volta in volta sotto forma di Campagna, di Montagna, di Palude,  a farla da padrona e protagonista assoluta. Siamo nella Pianura romagnola, quella che dista pochi chilometri dal mare, ma che diventa subito oscura e torva collina piena di sottoboschi insidiosi, paludi dense di gore e stagni salmastri, distesa di campi di grano in cui facilmente ci si può perdere. In questo contesto Baldini riesce ad evocare atmosfere degne del King dei fasti migliori, oppure di storie in stile cinematografico come "Jeepers Creepers" (vedi ad esempio i racconti "Urla nel grano", e "Country Fight Club", storia quasi teen-slasher in minore, ma molto potente sul piano emotivo). Sono peraltro diverse e ben armonizzate nella loro cornice antologica le ispirazioni letterarie di Baldini: ad esempio possiamo trovare la cupezza romanticheggiante di un Tommaso Landolfi, nel bellissimo quanto essenziale racconto "Il Gorgo Nero", esaltante descrizione dell'oscuro panorama naturale dei monti dell' Appennino marchigiano. Sentite un pò: "Settembre era arrivato e aveva portato con sé nubi basse e informi, gravide di umidità, che scivolavano sui fianchi dei monti neri di boschi. Le rade borgate e le case di sasso parevano lottare per difendersi dall'abbraccio lussureggiante della selva silenziosa e imponente". Si coglie cioè in questo libro una grande attenzione alla sensorialità evocata dal paesaggio naturale descritto, che certamente Baldini ben conosce ed ha visitato più volte lui stesso perdendosi sugli argini del Po, o ai margini di burroni e orridi e gole appenniniche, come un Paolo Rumiz (altra "musa ispiratrice" che si coglie tra le righe) del sovrannaturale, come si può ben vedere nel seguente incipit del racconto "Nella nebbia": "Quando salii sull'argine basso e coperto di canne palustri, affacciandomi su uno stagno, le anatre partirono, veloci e scure contro il cielo. Le seguii con lo sguardo finché si persero dietro un'isola d'alberi. Lontano, la macchia bianca e lenta di una garzetta si muoveva nell'azzurro, e richiami di uccelli si sentivano ovunque, nel folto o dietro dossi invisibili che chiudevano bassure e pozze nascoste". E' una natura "acqua cheta" quella di Baldini, che sotto la superficie nasconde tuttavia abissi e gorghi mefitici, ma anche creature della mitologia popolare, orchi, streghe dalle mani grondanti alghe e radici spinose, che artigliano  malcapitati bambini in quelle terre nascoste e misteriose. Quella dello scrittore ravennate non è però una scrittura deliberatamente horror. Il suo interesse è per quell'elemento intermedio che si cela all'interno del "mistero delle cose" umane. E non dimentichiamoci che Baldini, oltre ad essere uno scrittore di storie, è anche un antropologo, uno studioso cioè della primitività che ancora sussiste ed esiste in molte aree mentali e fisiche della nostra nazione. "La collina dei bambini" è ad esempio la ricostruzione di eventi risalenti al Medioevo romagnolo e facenti parte della tradizione orale dei luoghi: molto bello, intenso, molto ben scritto. Oltre all'elemento "antropologico", un altro tema caro a Baldini, largamente presente nella raccolta, è quello dell'infanzia e del sadismo a cui può dare voce. A questo proposito non posso evitare di menzionare il drammatico e inquietante "L'insuccesso scolastico e le sue conseguenze", a metà tra una specie particolare di noir contadino che racconta i soprusi di un gruppo di ragazzini mentre giocano "innocentemente" a pallone, e il gotico puro. Direi comunque che uno dei migliori racconti rimane "Re di Carnevale", molto violento sul piano psicologico, narrazione molto viva di ciò che può portare con sé il razzismo e l'odio verso il "forestiero". Per concludere queste brevi note, nel racconto, inedito, "I denti del nonno", Baldini si lascia alla fine trasportare deliberatamente nei territori di quello che potremmo definire come un horror-pop molto comico, e anche qui, pur discostandosi dai temi lugubri e dagli ambienti fumosi e nebbiosi di altri racconti, dà comunque il meglio di sé attraverso una scrittura rapida, scoppiettante, sempre capace di coinvolgere il lettore nella narrazione. "Gotico rurale": consigliatissimo agli amanti del Perturbante in letteratura, e in ogni altro luogo dell'arte in cui tale stilema allunghi i suoi artigli.   


sabato 1 dicembre 2012

Pausa musicale (pensando alle primarie)



Non so se ieri sera avete visto Crozza su La7 e la sua fantastica parodia de "L'Avvelenata" di Guccini in versione Primarie del Centrosinistra. Non ho potuto non cedere alla tentazione di segnalarvela qui, perché, aldilà dell'elemento comico, fa davvero pensare alla storia e ai valori di un paese come il nostro. Buona visione.