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venerdì 24 agosto 2012

The Tall Man, di Pascal Laugier (2012)


Cold Rock è una piccolissima cittadina di provincia situata a pochi chilometri da Seattle. Qui regnano la povertà e la disoccupazione più nere, da quando la miniera è stata chiusa, molti anni prima. Ma Cold Rock è anche il teatro di segreti inquietanti. Nel giro di alcuni anni sono scomparsi già 18 bambini, e l'ombra di uno spietato serial killer grava sulla dimessa vita quotidiana di ogni famiglia. Vani sono gli sforzi della polizia locale, e in particolare del luogotenente Dodd, di andare a capo di tutta questa tragica situazione. Una leggenda metropolitana locale, incolpa di queste sparizioni il misterioso "Tall Man", l'"Uomo Alto", un criminale malvagio e sfuggente che rapisce i bambini senza lasciare la minima traccia. Julia Denning, giovane madre e infermiera che vive da anni a Cold Rock, non crede a queste superstizioni, ma quando una notte scopre che il letto di suo figlio David è vuoto e che la baby-sitter è stata imbavagliata, legata, e nascosta in uno sgabuzzino, comincia la  disperata ricerca di David, all'interno dei fitti boschi che circondano la casa...

Il cinema di Pascal Laugier è struttura, non contenuto. E' lavoro di pensiero, attento, maniacale, e sul soggetto, e sulla sceneggiatura. E' costruzione non lineare di un racconto che muta di sequenza in sequenza, obbligando lo spettatore a cambiare continuamente l'ottica attraverso cui sta guardando un suo film. A Laugier non interessa - ormai è chiaro come il sole - l'effetto perturbante sul pubblico. "Martyrs" (2008), e lo si capisce molto meglio alla luce di "The Tall Man", piega l'effetto drammatico e violentissimo, all'inquadramento strutturale di una storia, che è "quella" storia che Laugier vuole raccontare. "Martyrs" non è un film violento e inquietante perchè Laugier desidera colpire lo spettatore con un pugno nello stomaco gratuitamente. Solo adesso lo capiamo bene. Il pugno allo stomaco è l'ultima cosa che interessa al regista francese, a dispetto dell'effetto emotivo "reale" che fa su chi guarda: è - tutto al contrario - lo svolgimento narrativo ad interessargli, o, meglio,  l'avvitamento narrativo straniante che il mezzo cinematografico e l'uso della macchina riescono a produrre nelle sue mani di artigiano ossessivo. Il suo ultimo "The Tall Man" è un esempio mirabile di tale atteggiamento estetico-filmico, che mette  in casseruola, parecchi ingredienti narrativi, per poi farli svaporare nel nulla, proprio perché Laugier non guarda a "temi" specifici, a "contenuti", bensì allo svolgimento a salti, a permutazioni, a "scatole cinesi" del racconto. Nei primi 25 minuti di pellicola noi vediamo una storia, quella di Julia Denning (una Jessica Biel a mio avviso meravigliosamente bella, e scelta magistrale di casting da parte del regista), che al 30esimo minuto diventa un'altra storia, attraverso un passaggio virato completamente sul puro onirico, dalla lunga, enigmatica sequenza dell'inseguimento nel bosco. Qui Laugier sa creare un ambiente che possiamo definire "sognante"  in senso stretto, perchè è capace di generare un'atmosfera di attraversamento narrativo che scioglie in pochissimo minuti le certezze che aveva fatto acquisire illusoriamente allo spettatore poco prima. Ci troviamo con Julia a vagare nel bosco, ad incespicare nel fango, a non capire. Dal 30esimo minuto in poi la storia continua a virare lentamente, ma inesorabilmente, in modo labirintico, così come avevamo visto in "Martyrs", ma rispetto a "Martyrs" l'onirico serpeggia fino all'ultima sequenza, e, nelle inquadrature intense dell'interrogatorio condotto dal luogotenente Dodd, ci vengono in mente alcune associazioni con Lynch. Tutto è però più freddo e calcolato di un film di Lynch. Quella che Laugier utilizza è una modalità onirica di condurre il gioco, che è per lui è una "storia vera" da raccontare, senza alcun ammiccamento al noto surrealismo lynchiano. D'altra parte è proprio così che funziona l'attività onirica umana: l'elemento più importante di un sogno non sono i suoi contenuti narrativi, bensì l'evidenziarsi dell'attività di un sognatore, di un artista che  dentro di noi dipinge affreschi onirici, mentre noi dormiamo, e a nostra insaputa, sebbene quel "pittore" siamo poi sempre noi stessi. E' questa presenza "artistica" inattingibile, a rappresentare l'elemento più interessante ed enigmatico di un sogno, e a questo enigma universale Laugier sembra fare costante riferimento in "The Tall Man". A quale codice ascrivere, ad esempio, il notevole dialogo tra Julia e Mrs. Johnson, se non al linguaggio onirico? La fotografia, eccellente, di Kemal Derkaoui, le musiche struggenti di Todd Bryanton, e soprattutto il montaggio vellutato del grande Sébastian Prangère, aiutano oltremodo alla creazione di atmosfere sensorialmente molto intense.  Detto questo, credo che "The Tall Man" possa aver comunque deluso le aspettative di molti suoi cosiddetti fan, che forse pretendevano da lui un pathos come quello presente nel film precedente. Ma di "Martyrs" se ne può fare solo uno, e dopo "Saint Ange" (2004), "Martyrs" e "The Tall Man", adesso capiamo molto meglio la poetica del regista, che potremmo appunto definire una poetica struttural-funzionalistica della sceneggiatura. L'occhio di Laugier sembra guardare più alla letteratura che al cinema: ricorda molto lo scrittore spagnolo Xavier Marias, ad esempio,  quelle sue pagine che sembrano pure associazioni libere che si fanno e si disfanno di riga in riga, di capitolo in capitolo, e che si aprono così verso l'ignoto creandolo e destrutturandolo al contempo.  Non è probabilmente un caso che Laugier fosse partito dallo studio di un racconto di China Mieville, "Details", che poi aveva abbandonato per dirigersi su questa strana storia che di horror ha davvero ben poco. Ma adesso veniamo giustappunto ai problemi di "The Tall Man", poichè di problemi ce ne sono. Il primo problema consiste nel fatto che Laugier azzera completamente la dimensione dell'intrattenimento, e il film risulta alla fin fine molto "freddo", nonostante sia totalmente dominato dal e centrato sul tema del dolore della perdita, la perdita peggiore, quella di un figlio. Ma se l'attenzione essenziale del regista è la struttura linguistica, allora lo spettatore non crede più alla partecipazione emotiva dei personaggi: le lacrime di Julia, la voce roca di Dodd, gli occhi tristi dei bambini rapiti, non emozionano più, perché non sono lì per emozionare, per intrattenere. Sono solo personaggi-funzione della struttura dello script. In questo modo, man mano che la pellicola procede nel suo lungo minutaggio, l'investimento partecipativo dello spettatore decade, o permane solo in funzione della curiosità che lo muove, curiosità che viene drasticamente frustrata al termine del film. Il secondo problema è il ricorso, in stile "Martyrs", al tema cospiratorio di gruppo, adombrato nel prefinale e sviluppato nel finale, rimando di cui non si sentiva affatto la necessità, dal momento che genera un legame poco comprensibile e ridondante con "Martyrs", laddove è evidentissimo che si tratta di due film molto diversi e lontani. "Martyrs" è poi un film molto più "caldo", nel quale il tema del dolore, fisico e psichico, e i sottotesti sociologico-filosofici sono molto più pregnanti, e nel quale emozione e struttura tendono ad integrarsi saldamente, cosa che non avviene per niente in "The Tall Man". In sintesi, la poetica cinematografica di Laugier, con quest'ultima sua pellicola, sembra spostarsi sempre più verso uno strutturalismo visivo-onirico, che raffredda tuttavia la performance complessiva e il pathos emotivo dell'opera. "The Tall Man" resta in ogni caso, un film ottimamente girato, nonché costruito con grande ponderazione analitica dal regista, la cui mano è magistrale nello studio preliminare e nell'elaborazione successiva della sceneggiatura. Di tale maestria occorre senza dubbio, a mio avviso, dargli atto, poiché muove pensieri e associazioni relative alle dimensioni creative e sognanti della nostra mente. Il film è quindi certamente da vedere. Regia: Pascal Laugier Soggetto e Sceneggiatura:  Pascal Laugier  Fotografia: Kamal Derkaoui   Montaggio:  dSébastian Prangère Musiche:  Todd Bryanton  Cast: Jessica Biel, Jodelle Ferland, Stephen McHattie, William B. Davis, Samantha Ferris, Katherine Ramdeen  Nazione: Canada, USA   Produzione: Cold Rock Productions BC, Forecast Pictures, Iron Ocean Films  Durata:  106 min.
  

23 commenti:

  1. Ci sarebbe da discutere per almeno 2 giorni su questo film. Io, dopo Martyrs, non posso fare altro che amare Laugier ma Tall man ha qualcosa che non sono riuscito a digerire. Quando parli di freddezza devo dire che hai centrato uno dei difetti (IMHO).
    Io ho trovato altezzosi e disgustosi i tre "giusto" finali. Poco consoni alla libera poesia dell'artista. Troppo 'mmerigani.
    Il fatto che il film sia coprodotto dalla Biel, mi lascia ancora più perplesso. E se tu la trovi splendida, io l'ho trovata piuttosto fuori luogo. Ma magari era l'intento del regista, mah!
    Poi il film manca di filo logico. E' una affermazione grossolana che dovrei approfondire di più, ma alcuni buchi di sceneggiatura mi fanno rabbrividire.
    Il colpo di scena centrale mi ha davvero fatto sbadigliare e il finale (e qui siamo d'accordo) è solo un pretesto per creare un assurdo collegamento a martyrs.
    E' un film da guardare, certo, ma il confronto con l'opera precedente fa cadere un pò le palle dagli occhi ;)
    Rimaniamo in attesa con la prossima opera.

    ps:Se non altro c'è qualcun'altro che rimane più coerente con la sua idea (che si può amare o odiare) di perturbante: Eduardo Sanchez... prova a dare un occhio al suo "Lovely Molly"!

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  2. Io questo film non l'ho proprio capito. Bello il primo colpo di scena, credevo fossero i cittadini i "cattivi" da li in poi mi son persa. Perché quel finale, quei cambiamenti? Non ho proprio capito. Perché fingere di aver ucciso i bambini? per proteggerli, ok, ma da cosa? risulta tutto troppo forzato. Tutto troppo esagerato, comunque nel complesso un buon film.

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  3. @ Eddy: ma discutiamone anche per 4 o 5 di giorni su Laugier, e' così bello discutere, per Giove. Ho capito, Eddy, che la tua critica negativa del film risiede nel vedere la solita americanizzazione del regista europeo atterrato sul seducente suolo yankee. Per giunta attratto dalla malia della maga Circe Jessica Biel ( che a me piace comunque un sacco, non so che dire, e che in questo film fa la mammina dolce in modo sopraffino, nonché luciferino), Circe che magari lo ha pure sedotto in senso stretto, che ne sappiamo?. Ho capito anche che "The Tall Man" ti sembra una pallida icona lontana e sbiadita di "Martyrs", come anch'io ho sottolineato nella mia rece. Sono abbastanza d'accordo con te, infatti la mia recensione non mi sembra molto favorevole. Ho soltanto voluto sottolineare che Laugier un talento linguistico ce l'ha, aldilà dei buchi di sceneggiatura. Anche "Martyrs" aveva tuttavia alcuni buchi di sceneggiatura non da poco, come ad esempio il nodo in cui Anna, dopo la morte di Lucie, se ne sta tranquillamente al telefono con sua madre, invece di fuggire a gambe levate in cerca d'aiuto, oppure quando lei stessa trova la botola nel sotterraneo della casa. Il problema di "The Tall Man" a mio avviso, non e' tuttavia l'americanizzazione di Laugier ( il film e' anche canadese, pero'), nella quale tu vedi una perdita di creatività e di libertà di pensiero. Al contrario penso che che Laugier sia schiavo di se stesso e della sua ossessività che lo inchioda eccessivamente allo sviluppo del racconto. Difetto, che, su un altro versante e' anche un pregio, nel senso che il lavoro sulla sceneggiatura gli permette di generare sequenze molto lente, lunghe, imprevedibili ( ammetterai che dall' l'inseguimento del camion, fino al frustrante inseguimento nel bosco, quelle sequenze appaiono come molto evocativamente sospensive, e uno non se le aspetta). In molte sequenze Laugier mi e parso molto lucido e libero di muoversi, ma sempre all’interno del suo schema strutturalista. Non mi sembra che di questa sua caratteristica si possa dar la colpa alle pastoie seduttive in cui la Biel potrebbe aver voluto imprigionarlo. A te la palla, ora :)

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    1. In effetti la "forma" di Laugier è meravigliosa. E' uno che di cinema ci capisce. E tanto. E bene.
      Il problema, come ha incorniciato perfettamente nuvola, è che si crea una confusione tale da lasciare interdetti. Non c'è continuità, che non dovuta solo ai buchi, ma a mio avviso, ad una costrizione sui contenuti, non sulla forma. Ma è anche difficile riuscire a creare una buona opera quando l'idea di base viene amputata. La mia impressione è di una sorta di ingabbiamento che in Martyrs era completamente assente.
      E' anche piuttosto brutto fare confronti con Martyrs. Sarebbe come confrontare due quadri di Van Gogh. Assurdo. Però viene spontaneo.
      La scena di cui parli (come molte altre, del resto) è davvero notevole e sono convinto che in pochi riuscirebbero a tirar fuori qualcosa del genere.
      Il mio disappunto va sul "buonismo" americanista che permea la vicenda in se. Non vado assolutamente ad intaccare la parte tecnica, ma il racconto che si sbrodola in quei tre "giusto" finali che mi hanno fatto venire la tremarella alle gambe, ma non dalla paura.
      Ed ecco un altro punto che mi ha fatto voltare lo stomaco: la ragazzina che si rivolge allo spettatore. Insopportabile. Come se Laugier (ma non credo che sia stata una sua idea. In Martyrs lo spettatore è spettatore, e basta) avesse voluto mettere un figura fuori campo che "spiegasse" la vicenda, nel finale. Un trucchetto poco convincente.
      Passo ;)

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  4. @ Nuvola: scusami, ma non avevo visto che avevi commentato in contemporanea con Eddy. Ti confesso che anche a me la storia, nel suo aggrovigliarsi sul finale, ha causato un effetto di stordimento. Io credo, comunque (anche se non l'ho esplicitato nella recensione) che Laugier abbia voluto fare un film sul male che può essere fatto ai bambini se cresciuti in certi ambienti poveri, come la squallida Cold Rock, appunto, vero non-luogo in cui non vorrei certo crescessero i miei figli. Luogo-metafora, che fa da pretesto ad una storia che inevitabilmente sfocia nel tema del dolore e della perdita, nonchè in quello per cui il "far del bene" sconfina col "far del male". Interessante. Ma Laugier si perde nella struttura dell'onirico (peraltro ben costruito) e azzera il pathos sul dolore e sui sottesti relativi. In "Martyrs" tale operazione di raccordo tra contenuti emotivi e forma gli riesce molto bene. Qui no. Assolutamente.

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  5. @ Eddy: ah, com'è bella questa discussione di fine agosto, che ti rende ancora più lieti i pochi giorni precedenti alla ripresa lavorativa. Sono d'accordo con te sul fatto che paragonare due quadri di Van Gogh non abbia senso, o meglio: non ha senso dire che uno è più bello dell'altro, cioè ogni quadro di un'autore è una cosa in sè, e quindi il paragone appunto per questo è insensato. Però con Laugier viene da fare paragoni, appunto perché siamo stati colpiti da "Martyrs", che a mio avviso rimane una chiave di volta del cinema perturbante contemporaneo, e da uno che è riuscito a creare un'opera così innovativa (mi ricordo ancora la recensione entusiasta del burbero Elvezio Sciallis, quando uscì il film), ci aspetteremmo una cosa simile. Sì, però è un pò come se da Leonardo ci aspettassimo sempre una Gioconda. Di Gioconda ce n'è invece una ed una sola (e proprio in questa unicità irripetibile si fonda l'enigmaticità e la potenza evocativa della Gioconda), così come di "Martyrs" ce n'è uno ed uno solo, irripetibile, come dicevo nella mia recensione. E' per questo che non butterei così velocemente a mare "The Tall Man", cioè perchè credo che una critica totalmente negativa del film dipenda da una specie di effetto alone, per così dire, della nostra visione e della nostra esperienza emotiva pregressa di "Martyrs". Rispetto alle sequenze finali, non ho colto un particolare "buonismo" in quei tre "giusto". In questo non sono d'accordo con te, infatti Jenny, qualche secondo prima di porsi (e porci) quella domanda reiterata, aveva detto a se stessa altre cose: "Io non sono come gli altri, non riesco a dimenticare. Non posso. Ogni mattina mi alzo con lo stesso pensiero, di lasciare tutto e tornare a casa. Ma ricordo a me stessa che ho voluto io questa vita". Questo dialogo interiore apre molte domande, potremmo dire filosofiche, sull'irreversibilità del tempo, dei destini personali e delle decisioni prese, cioè su quanto siano davvero libere (ecco che ritorna ancora una volta il tema della libertà, come vedi) le nostre decisioni, oppure determinate da Altro, da qualcosa di inconscio, a noi sovradeterminato e che ci sovradetermina inconsapevolmente. C'è un certo spessore, credo in queste ultime battute dialogiche. Certo, forse, il rivolgersi allo spettatore, ponendo direttamente a lui queste domande, è un birignao americanoide che Laugier poteva evitare. Ma non lo massacrerei per uno svarione come questo. Proprio perchè con "Martyrs" questo film non c'entra nulla. Ma ha comunque un pò di cose da dirci, io penso.

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  6. Angelo:

    Avrei preferito esporre per esteso il mio punto di vista ma eluderò l' intenzione causa calura.
    E' che proprio nei giorni scorsi ho pensato come abbastanza limitante paragonare le opere di uno stesso artista o regista così da scaricare tout court i films che non colpiscono particolarmente e tagliare eventuali nuove visioni, liquidando comunque un' opera degna di rispetto e forse bocciata troppo presto.
    E' difatti a mio avviso molto superficiale gettare via ciò che ci appare di troppo anche quando forse non cambieremmo idea.
    Commento da sbadiglio, certo.
    Ciò nondimeno - Come Sopra - Non da cestinare.
    Qualcosa, rimane sempre.

    P.S: "Esplicherò meglio il predetto commento inerente il ritorno a Dio".

    Ciao.

    Cristian

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  7. non ho visto gli altri di laugier, però questo mi incuriosisce particolarmente...

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  8. @ Cristian: sono d'accordo. In effetti anche pensare, e non solo scrivere, risulta difficile con questo caldo che proprio non ne vuole sapere di allentare la morsa. Ci sentiamo.:)

    @ Marco: il mio modestissimo suggerimento è quello di vedere i film di Laugier in ordine cronologico: 1) "Saint Ange" (2004), lentissimo e manierato; 2) "Martyrs" (2008), potente e sovversivo; 3)"The Tall Man" (2012), onirico e freddo. Buona visione (nella calura agostana) :)

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  9. molto interessante la tua chiave di lettura nella recensione e la discussione con Eddie: anche per me Laugier è un regista più di forma che di sostanza ma poi penso a Martyrs e a quanto mi ha turbato...secondo me The Tall man è un film ibrido di vari generi , girato da un regista horror ( per le scenografie e per come vengono usati gli ambienti soprattutto nella parte centrale) che ha , purtroppo per Laugier, un cordone ombelicale piuttosto evidente con il suo precedente, squassante film. A me non è dispiaciuto ma il finale mi ha lasciato molto perplesso, mi è sembrato la classica trovata alla Shyamalan per tentare di ribaltare ulteriormente tutto quello visto prima...

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  10. @ Bradipo: grazie della visita. E del contributo alla discussione (spero che Eddy continui a dialogare su questo film e su tutto). Concordo con te che il film di Laugier sia un pò un ibrido, e mi piace molto la tua metafora del cordone ombelicale con "Martyrs", che Laugier qui, ahimè, non riesce a tagliare. E questo è uno dei dei difetti maggiori del film, come accennavo nella recensione. Il finale è figlio (parlando di cordoni ombelicali) di questo legame di dipendenza (per me incomprensibile, in una testa raffinata come quella del francese)con il film precedente, la cui unicità è lì tutta da vedere. Perché dunque inventarsi una gemellarità inesistente, forzandola dentro uno script di tutt'altro tenore? Boh. Alla prossima. Mi piacerebbe sapere un pò gli altri lettori cosa ne pensano:)

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  11. Angelo:

    Laugier venne criticato per l' eccessiva crudezza di "Martyrs" Ed il regista si giustificò ammettendo una forte depressione.

    Chi meglio di te può soppesarne il prezzo?

    Cristian


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  12. @ Cristian: meglio di me certamente colui/lei-coloro cui Laugier si sarà rivolto per la sua depressione, I suppose :)Il film comunque è venato da calibri depressivo-pessimistici non da poco, in effetti.

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  13. Ciao caro.Ci sono ancora. Sto lavorando ma sto elaborando un altro punto di vista che non mi convince. La tua ultima risposta mi è piaciuta.
    Riprendo stasera o domani!

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  14. Ciao Eddy, bentornato a rinverdire il dibattito. Ti attendo per stasera, dunque, o domani, così proseguiamo il discorso :)

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  15. Mi fa piacere che anche Lenny Nero sia in linea con la mia rece. Potete leggere la sua qui: http://www.latelanera.com/cinema/recensioni/recensione.asp?id=3137

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  16. Il fatto che se ne discuta fa già capire che la pellicola ha molto da dire (e molto da nascondere). Jessica Biel ha dato dimostrazione di non essere soltanto una bella attrice.

    I BAMBINI DI COLD ROCK

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  17. Sono d'accordo con te, Amos. Grazie della visita :)

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  18. Partiamo dal background dal quale ha attinto sia come storia che come elementi tecnici puri. La vicenda è semplice (non riesco a comprendere come possa esservi oscura) e come evidenziato con eccessiva solerzia nella recensione, fa della struttura (che viene esplicitamente allegorizzata in forma discorsiva dalla chiacchierata dietro le sbarre tra Julia e la vera madre: la sofferenza è un ciclo, come la società e dev'essere spezzato) il suo punto forte. Concordo con la rece: c'è Lynch nelle atmosfere. Gli interni mal illuminati e la stessa Cold Rock vengono dipinte con i toni di Twin Peaks. Laungier negli stili, tuttavia, è trasformista: si tiene sulle linee di confine tra generi e stili. Non è un horror, non è un thriller, non è un dramma, non è un poliziesco, né un PG 13. E' un frullato di queste cose. The Others, Tyrannosaur, Balaguerò, Lucky Mc Kee, una spruzzata di Ti West e persino il Polansky di Rosemary's baby. Tutto sfiorato e attinto dal cineasta francese. Non è un lavativo Laugier e nemmeno uno che dimentica le proprie origini. Haute Tension di Alexandre Aja è una fonte d'ispirazione uguale e contraria, speculare e al negativo. Mentre il primo partiva dal thriller per sprofondare nel terreno dell'horror sparandoti dosi da elefanti di violenza, Laugier compie l'operazione inversa: ti faccio credere sia una cosa, poi abbasso il volume del gore a zero e ti porto da un'altra parte. Operazione riuscita in pieno. Poco da dire.

    Il fatto che lo 'strutturalismo' (anche se andrei cauto con questi termini, in fin dei conti è solo una trama ad incastro) emerga con veemenza, com'è ben detto nella recensione, raffredda lo spettatore nell'immedesimazione con i personaggi. Credo che lui lo sappia molto bene ed è per questo motivo che ha cercato di ovviare con un'ottima scrittura e interpretazioni cariche di pathos. Operazione riuscita parzialmente. Proprio perché lo straniamento, al contrario di quanto sottolineato nella recensione, non deve avvenire solo nell'intreccio, ma anche nel sottobosco meta-narrativo che il film ostenta.

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  19. Se proprio devo trovare un difetto, non lo cercherei nella freddezza e distacco che il regista mette tra noi e i protagonisti e nemmeno nei suoi omaggi autoreferenziali. Per privilegiare lo svolgimento e la comprensione della trama, che prevede svolte narrative notevoli, alcuni passaggi interessanti sono soltanto tangenti e lasciati alla sensibilità dello spettatore. La ridondanza patetica della domanda 'giusto?' messe in bocca al narratore della vicenda (da non dimenticare che la voce fuoricampo è quella di Jenny, l'unica a conoscere la verità, altrimenti questa storia, visto che per Pascal è una storia vera, non la sapremmo) schiude solo l'uscio sulla quantità di tematiche che tocca: 1) il giudizio etico sulle azioni umane. Giusto e sbagliato hanno un minimo comune denominatore? E' maggiore un bene biologico\naturale oppure il bene in senso lato come opportunità? 2) Il degrado della suburbia americana. Lo spopolamento di un paese che si è sostentato di un lavoro che non rappresenta più il presente e quindi è stato dimenticato. Con la devastante conseguenza che a farne le spese sono i sogni dei bambini. 3) La mancanza di comunicazione che la povertà reca con sé. 4) La scelta cospirazionista-borghese che lascia spalancata la porta alla domanda di Jenny: lei che, a differenza degli altri, può ricordare il suo passato si sente felice della sua scelta? 5) Il sacrificio (tema annodato a Martyrs) per una causa ritenuta più grande. Ma che è una delle tante declinazioni della follia umana di ergersi a giudice delle azioni, o peggio, dei sentimenti. 6) La credulità popolare, dovuta alla poca istruzione, che denomina il soprannaturale, lo connota e ne alimenta il mito.

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  20. Buchi di sceneggiatura? Pochi e ben mascherati\amalgamati. D'altra parte sulla vicenda 'i bambini di Cold Rock' sappiamo tutto, su come sono andate le cose. E lo spiegazionismo adottato da laugier, per quanto frazionato e diluito nell'intero arco temporale, mi sembra sufficiente. Ciò non toglie che molte domande rimangano senza risposta ed è una cosa positiva. Ecco a fronte della chiarezza per fare chiarezza, ha tralasciato alcuni dettagli che secondo il mio parere potevano essere meglio sviluppati. Ma ben venga non si capisca tutto. Anzi, avrei fatto un finale ancora più sospeso.

    Sono piuttosto scettico su certe dinamiche di cui l'iconografia horror\thriller non riesce a liberarsi. Sempre bambini?(anche se la scelta è propedeutica al tipo di film). Sempre industrie dismesse o cunicoli nascosti? Sempre protagonisti imprigionati che si liberano facilmente più e più volte? Alcune cose fanno storcere il naso.

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    1. @ Lagravitauccide: ti ringrazio moltissimo per i dettagliati commenti che ci hai lasciato più sopra. Una vera recensione- commento, che sviluppa e amplia alcuni temi anche da me toccati. Il concetto di "struttura",hai perfettamente ragione, occorre usarlo con le pinze, e non riferirlo allo "strutturalismo" , linguistico e filosofico francese, per esempio. Il termine io lo uso qui in maniera molto vaga, appositamente, anche perché non mi veniva in mente altra parola per descrivere l'andamento drammaturgico del film. Ti ringrazio ancora dei commenti molto approfonditi:)

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  21. Vi ringrazio per la bella recensione e per i commenti molto pertinenti, che mi hanno spinto a vedere questo film. L'ho trovato molto interessante ed in un certo senso "teorico". Trovo molto fondato il riferimento alle topiche lynchiane, alle quali ho più volte pensato durante la visione.
    Credo sia un film atipico ed originale nel voler rompere gli schemi e gli stereotipi dei generi evocati (horror, thriller, poliziesco). Tutto ciò depistando continuamente lo spettatore e ogni possibilità di detection (la figura del detective è, questo si, presa da un film di David Lynch).
    Maturerò le mie riflessioni vedrò di formalizzarle in un post.
    A presto e grazie ancora

    Jena

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