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lunedì 28 maggio 2012

Pausa riflessivo-musicale

Questa canzone di Giorgio Gaber, è stata scritta negli anni '80, ma sembra essere molto, molto attuale. Ascoltiamola, e pensiamo...

sabato 19 maggio 2012

I Fratelli Marvellini



Sotto l'etichetta "L'Arte Perturbante", segnalo qui una mostra fotografica dei Fratelli Marvellini, a Pavia (Santa Maria Gualtieri, le date non ve le so dire, purtroppo, ma fino a domani la mostra sarà ancora aperta). I due fratelli, che hanno uno studio a Milano, si dilettano nella creazione di foto d'epoca cui sovrappongono simbologie inquietanti ed enigmatiche, come quella che potete vedere più sopra. A mio avviso i Marvellini Bros. sono molto bravi e vanno seguiti con attenzione. 

lunedì 14 maggio 2012

The Hunger Games, di Gary Ross (2012)


Ogni anno, tra le rovine di quello che fu il Nord America, lo Stato di Panem obbliga ciascuno dei suoi 12 Distretti in cui è suddiviso, a mandare un ragazzo e una ragazza a cimentarsi in una sanguinosa battaglia per la vita, gli Hunger Games. In parte reality-show trasmesso in televisione come "Il Grande Fratello", in parte atto di deterrenza da parte del governo nei confronti dei Distretti, che un tempo erano stati teatro di rivolte, gli Hunger Games sono un evento televisivo seguito da tutta la nazione, dal quale uno dei "tributi" (così vengono chiamati i 24 giovani avversari) uscirà vincitore, consentendo al proprio distretto maggiori quantità di cibo. In competizione con "tributi" molto allenati, Katniss, proveniente dal Distretto 12, è tuttavia molto abile nel tiro con l'arco, con va a caccia di animali nel bosco, per sè e la sua famiglia. Per poter tornare viva a casa, al Distretto 12, dovrà far leva sul suo coraggio, nonchè sulla sua tenacia per affrontare prove incredibili, nell'arena del truculento gioco.

Il battage mediatico sorto intorno al film di Gary Ross, ("Pleasantville", 1998; "Seabiscuit", 2003), già faceva annusare un che di pompato ad artem per far accorrere nelle sale soprattutto adolescenti vogliosi di vedere le dolci e fresche forme di una Jennifer Lawrence, senza dubbio graziosa e gradevole alla vista. Il film, a mio avviso, è infatti molto lontano dalle recensioni positive che ho letto in alcuni siti web, nonchè sui giornali che di solito leggo. Cercherò di spiegare qui i motivi di questo mio profondo scetticismo. Intanto la scelta del gruppo di preadolescenti e adolescenti che si vedono costretti dal destino crudele a combattersi fino alla morte, non appare minimamente pensata in sede di scrittura e tanto meno di casting. L'interazione tra i ragazzi, perduti nel bosco come cacciatori primitivi è di una banalità tale da non poter neanche parlare di "caratterizzazione psicologica del personaggio", o di un'idea di costruzione narrativa delle relazioni tra i personaggi stessi. Dinamiche di gruppo, conflitti, amori, pathos relazionale, sono tutti aspetti che svaporano via in un battibaleno, non appena la gara comincia. Tutto sembra immerso in un'atmosfera assolutamente superficiale, "liquida" (nel senso di Zygmut Bauman), clima accentuato fortemente, e forse suo malgrado, dalla fotografia di Tom Stern, che sembra fatta apposta per appiattire e ingrigire la storia, piuttosto che a donare ad essa un tocco di vitalità. La sceneggiatura (di Billy Ray e dello stesso Ross) è poi completamente sbilanciata da un prologo lunghissimo ed inutilmente sfarzoso, nel quale i "tributi" vengono scelti e preparati alla rissa finale, per poi dirigersi nel bosco circense e lì perdersi in modalità quasi fiabesche con tanto di vespe velenose mutanti (gli "Aghi Inseguitori"). "The Hunger Games" è insomma un blando miscuglio tra "Alice nel Paese delle Meraviglie" e "Rollerball" (1975), con qualche spruzzatina di storico-politico-apocalittico, che non convince nessuno, in quanto il tanto acclamato sottotesto socio-politico è pure lui trattato blandamente, senza che lasci impronte particolari sui nostri neuroni. Sono presenti rimandi vaghi e malposti alle vicende del nazismo e della deportazione degli Ebrei (anche il simbolo del nuovo impero di Panem ricorda i simboli novecenteschi delle dittature hitleriane e staliniste), e anche i costumi richiamano uno stile anni '30, ma il tutto è completamente eccentrico rispetto ad una riflessione storica e/o sociologica, che rimane comunque lettera morta. Si tratta cioè di simboli vuoti e giustapposti, all'interno di una cornice narrativa che non sa dove vuole andare a parare (è una critica del capitalismo finanziario contemporaneo? E' una riflessione sul destino delle nuove generazioni? E' un monito circa la totale mancanza di rispetto verso una più equa e solidale ecologia delle risorse?). Anche il tema dell'adolescenza come sguardo verso il futuro di un'umanità da proteggere, come le nuove generazioni di precari e disoccupati che (veramente) fanno la fame, soprattutto nelle metropoli di oggi, è un elemento che viene tagliato con la scure, per nulla approfondito, cioè senza spessore alcuno, e quindi in verità maltrattato e vilipeso, invece che indagato come si meriterebbe. Quest'ultimo a mio parare è il dato più negativo del film, il suo difetto capitale. Perchè credo che allestire un baraccone dalle finalità di entertainment puro, appoggiandolo sulle spalle di problematiche relative all'adolescenza, epoca complessa della vita, e così densa di dolore e fragilità, mi pare sia operazione eticamente molto scorretta, se non si lavora al "pezzo" in modo adeguato e sensibile, come tali problematiche comporterebbero. Sul piano eminentemente cinematografico il film è in ogni caso un prodotto  artistico molto debole, da qualsiasi vertice lo si guardi, per esempio anche da quello delle azioni di lotta tra i ragazzi, che non regalano mai neppure un accenno di tensione adrenalinica. Direi quindi di andare pure a vedere "The Hunger Games", ma per avere un ulteriore conferma di quanto certo cinema odierno possa essere superficiale e scorretto nel far finta di farsi carico di temi sociali importanti, che poi non è in grado (e a mio avviso non lo vuole deliberatamente)  di trattare con la dovuta sensibilità
Regia: Gary Ross  Sceneggiatura: Billy Ray, Gary Ross  Fotografia: Tom Stern   Montaggio: Stephen Mirrione, Juliette Welfing  Musiche:  T-Bone Burnett, James Newton Howard Cast: Jennifer Lawrence, Liam Hemsworth, Josh Hutcherson, Elizabeth Banks,   Stanley Tucci, Woody Harrelson, Donald Sutherald, Lanny Kravotz, Isabelle Fuhrman, Wes Bentley, Willow Shields, Paula Malcomson, Raiko Bowman Nazione: USA   Produzione:    Lionsgate, Color Force, Larger Than Life Productions, Ludas Productions Durata:  142 min.


giovedì 10 maggio 2012

The Divide, di Xavier Gens (2011)


Un improvviso attacco nucleare alla città di New York obbliga un gruppo di residenti di un condominio, a rifugiarsi in una cantina dell'edificio. Gli otto sopravvissuti saranno costretti ad abituarsi a condizioni di vita estreme, soprattutto sul piano della dinamiche psicologiche che si verranno a creare tra loro. Fuori dal loro rifugio il mondo è cambiato, e un'entità maligna farà di tutto per portare a termine il suo disegno di distruzione...

Uno Xavier Gens così intenso, ispirato, generatore di tale estesa e profonda materia di riflessione estetico filmica, non lo si era mai visto. Tantomeno dai tempi di "Frontier(s)" (2007), attraverso il quale aveva già dato comunque una scossa adrenalinica non da poco al cinema horror europeo. In quest'ultimo "The Divide", Gens va ben oltre se stesso: cresce, matura, sviluppa poetiche visive e narrative di notevolissimo spessore, aiutato dalla mano di ferro di due sceneggiatori, Mueller e Sheean, che costruiscono un binario stilistico insieme geometricamente coerente e fluido, binario su cui Gens fa avanzare la locomotiva di una storia drammatica e molto, molto perturbante. Più che "avanzare" dovremmo in verità usare il verbo "regredire", perchè il regista francese mette in scena le tappe di una regressione gruppale, graduale ma inesorabile, verso il buio della perversione e della destrutturazione di ogni legame civile e affettivo tra esseri umani. Oltre agli sceneggiatori, Gens ha dalla sua parte anche l'evocativo montaggio di Carlo Rizzo, che mai come in questo film risulta fondamentale elemento tecnico rispetto alla resa emotiva dell'intera storia. Non dimentichiamoci che il film dura ben 112 minuti, un tempo infinito per un film di questo tipo; tuttavia Rizzo riesce a concatenare sequenze e inquadrature in modo "liquido" e tale da dare la percezione del tempo che passa, sottolineando con grande maestria i passaggi cruciali della regressione del gruppo, da uno stato per così dire "civile", ad uno "psicotico-animale". L'alternanza sapiente di campi medi e primi piani sui volti dei personaggi, che contrappuntano gli intensissimi dialoghi, rendono poi Gens personaggio di primo piano nel panorama cinematografico odierno. Ma è bene che ricordiamo la storia, che parte subito in quarta, con i nostri otto eroi: Mickey, ex-militare fascistoide ma previdente, che si è ricavato un rifugio antiaereo nella cantina dell'edificio in cui abita. Qui riusciranno a troveranno rifugio (nella lunga sequenza iniziale apocalittica della fuga di massa giù per le scale del condominio) Eva e il suo fidanzato Sam, Josh e suo fratello Adrien, Bobby, amico di Josh, Marilyn, sua figlia Wendi e da ultimo Devlin. Mickey (un Michael Biehn in stato di grazia assoluta, soprattutto nella sequenza agghiacciante in cui verrà torturato, legato ad una sedia a rotelle, dai suoi ospiti), sigilla la porta, per evitare la contaminazione da radiazioni, ma poco dopo irrompono nel rifugio alcuni soldati armati e coperti da tute anticontaminazione. Non si tratta tuttavia dei salvatori, bensì dei veri nemici, al punto che rapiscono Wendi, la bambina, strappandola dalle braccia di Marilyn, sua madre. Questo incipit è il vero pilastro narrativo su cui si appoggia e si evolve in spirali sempre più dense, lo script. Uno script che parte, appunto da un distacco violento, traumatico e irreversibile tra madre e figlia, e che ci srotola davanti il naufragio di una convivenza umana in condizioni di sopravvivenza. Un sopravvivere minato dagli effetti pulviscolari delle radiazioni, che lentamente cominciano ad infiltrarsi nei corpi dei nostri personaggi, causando visibili e terribili danni, che sono comunque minori dei danni psicologici determinati dalla coabitazione claustrofobica. Come sappiamo i temi del corpo e del suo dolore, sono due capisaldi stilistici del cinema horror francese (si veda lo stesso "Frontier(s), ma anche e soprattutto "Martyrs" (2008) di Laugier e "A l'interieur" (2007) di Bustillo e Maury). Anche qui l'area corporea è centrale. Il corpo è torturato e amputato (quello di Mickey); è usato come oggetto sessuale perverso-maniacale (quello di Marilyn); è utilizzato come cavia animale da esperimento (quello di Wendi); è oggetto di degradazione biologica a causa delle radiazioni; è oggetto di smembramento con finalità antropofagica. Un corpo totalmente identificato con l'Io soggettivo dell'individuo (nella miglior tradizione horror francese, ribadisco) e attraverso il quale viene perpetrato l'annichilimento di ciò che è umano. Un corpo-metafora, quindi, un corpo che ospita in sè il seme della barbarie, in una gestazione che attende solo alcuni requisiti ambientali particolari per manifestarsi come barbarie pura, mortifera. In questo senso la sequenza pornografico-perversa in cui è coinvolto il corpo di Marilyn, è magistrale e diretta in un modo che definirei semplicemente sublime, oppure poetico, declinato in modalità perturbante. Gens si assume la notevole responsabilità artistica di rappresentare la violenza assoluta che alberga nell'umano, laddove certe condizioni ambientali consentano il suo proliferare, a partire dalla metafora nucleare iniziale, per poi indagarla sul piano della psicologia-etologia dei gruppi umani posti in condizioni di vita estreme. Il risultato è davvero ottimo, sotto tutti i punti di vista, in particolare l'utilizzo di un cast superbo, molto espressivo, a tratti dolente, sempre al centro della storia in ogni sequenza, illuminata dalle luci radenti e drammatiche di Laurent Barès. Il finale molto adrenalinico è condotto con un uso del climax sorprendente, e consente molte letture possibili, aprendosi a interpretazioni multiformi, poichè poi il film stesso rimanda a sottotesti molteplici, che in questa sede sarebbe troppo lungo descrivere in dettaglio (ma possiamo approfondire il discorso nei commenti). Da queste parti, come sapete, la parola "capolavoro" non si usa praticamente mai, perchè appare pomposa, e, come direbbe Gadda, "tonitruante". Allora dirò che "The Divide" è un film molto ben fatto, anche se nella mia mente è circolata per un attimo la tentazione di usare proprio quella parola. In ogni caso, il film è assolutamente da non perdere, mettiamola così.
Regia: Xavier Gens  Soggetto e sceneggiatura: Karl Mueller, Eron Sheean Fotografia:     Laurent Barès  Montaggio:  Carlo Rizzo  Cast: Michael Bihen, Rosanna Arquette, Courtney B. Vance, Lauren German, Michael Eklund, Ivan Gonzales  Nazione:Canada, Germania, USA      Produzione: Instinctive Films, Preferred Content, BR Group  Durata: 112 min. 


martedì 1 maggio 2012