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giovedì 16 febbraio 2012

L'uomo di neve, di Jo NesbØ (2010)


Anno: 2007 Editore: Tr. it. Piemme, 2010 Traduzione: Giorgio Puleo Pagine: 531 ISBN: 978-88-384-6886-5 Euro: 19,50


Oslo comincia ad essere imbiancata dai primi fiocchi di neve. Birte Becker è appena tornata a casa dal lavoro quando, fuori dalla finestra, nota un grande pupazzo di neve. La donna pensa che sia un bellissimo regalo del marito o del figlio Jonas. Ma non è così. Poche ore dopo Birte scompare senza lasciare tracce. Unico indizio: il pupazzo di neve avvolto dalla sciarpa rossa della donna, all'interno del quale viene ritrovato anche il suo cellulare. Il commissario Harry Hole, chiamato ad indagare su questa scomparsa, si getta a capofitto nel caso per sfuggire ai fantasmi che lo perseguitano, soprattutto quello di Rakel, la sua amata, che tra non molto sposerà un famoso medico di Oslo. 

Il quinto romanzo di Jo NesbØ tradotto in italiano, è decisamente più godibile del precedente, "La ragazza senza volto", meno circonvoluto e baroccheggiante, il che invoglia il lettore a guardarlo sotto una luce poco guardinga. Ovviamente, come tutte le storie di NesbØ, siamo di fronte a un monumento narrativo-vivente dell'inverosimiglianza più totale, aspetto della poetica dell'autore norvegese che occorre aver metabolizzato per bene, preliminarmente. In caso contrario lo si può anche leggere come esibizione pura e vanagloriosa di virtuosismo della scrittura noir-thriller. Soprattutto il finale, oserei dire iperbolico, fa pensare a questo. Ma se osserviamo bene, a partire dal primo bellissimo romanzo "Il pettirosso", tutta l'opera di NesbØ, è orchestrata secondo questo stile tutto suo, che personalmente definirei "crastico", cioè derivante da una iterazione di "crasi" ottimamente congegnate, che fondono il classico giallo nordico con l'hard boiled statunitense accentuato da un climax narrativo in cui l'azione si fa molto rapida e concitatamente movimentata nel finale. Questo è Jo NesbØ: prendere o lasciare. Tuttavia, se c'è qualcosa che differenzia gli ultimi due romanzi del nostro, "L'uomo di neve" appunto e "Il leopardo", dallo schema "crastico" dei precedenti, è l'introduzione di un viraggio verso l'horror, soprattutto se leggiamo le prime pagine del "Il leopardo" (forse il miglior romanzo dell'autore norvegese). Ma tornando all'"Uomo di neve", la costruzione del plot, pur seguendo le coordinate stilistiche dei precedenti, procede verso un interesse maggiore per la serialità degli omicidi, coniugandola con rimandi a malattie genetiche rare (la terribile sclerodermia, oppure l'altrettanto terribile Sindrome di Fahr), aspetto che rimanda a  un sottotesto psicosociale e/o sociologico secondo me non secondario. Tale sottotesto attraversa in filigrana lo sguardo di NesbØ, e ci fa scorgere una Norvegia isolata e dominata da una sorta di sindrome sociale autoimmune, una nazione cioè lontana e congelata, come in via d'estinzione. Il serial killer protagonista di questo romanzo rappresenta questa parte silenziosamente autodistruttiva della Norvegia di NesbØ, parte "malata" contro cui Harry Hole combatte con tutte le sue forze, eroe malato pure lui e lontano mille miglia dalle mitologie eroico-nordiche di Odino, Alsvidhr, Thor, e compagnia danzante. Probabilmente questo "L'Uomo di neve" è il romanzo nel quale maggiormente NesbØ vuole suggerire che l'unico antidoto al Male è il Lume della Ragione Umana, lume che si fa a volte lumicino, ma che occorre tenere acceso per procedere verso sviluppi creativi e vitali, cioè verso un'etica sempre traballante e instabile ma necessaria alla conservazione di ciò che di buono persiste, nonostante tutto, nelle pieghe dell'Umanità. In fondo è lo stesso lumicino che Geppetto tiene acceso dentro alla pancia della balena, e che permette a Padre e Figlio di incontrarsi, vedersi, "riconoscersi", dopo tutte le vicende catastrofiche cui Collodi li sottopone. Ad Harry Hole, in questo romanzo accade lo stesso: è sottoposto, come un Giobbe contemporaneo, a mille difficoltà che lo portano a perdere affetti e stabilità psicofisica, ma che infine lo condurranno a una catarsi finale in cui il famoso "lume" resterà acceso. E' questo elemento di universalità rappresentato da Hole, soprattutto in questo romanzo, ad aver toccato in me corde sensibili. E' per questo che "L'Uomo di neve" mi è essenzialmente piaciuto. Ed è per questo che posso perdonare a NesbØ il suo stile a tratti iperbolico, mastodontico, a tratti attorcigliato su se stesso su alcuni birignao narrativi che avrebbe anche potuto risparmiarci. Come avrete capito, questa volta consiglio senza dubbio la lettura di questo libro. Post Scriptum: nota negativa sulla quarta di copertina, leggendo la quale ho capito subito chi fosse l'assassino. Ma che razza di Editor hanno a Piemme?

venerdì 10 febbraio 2012

Chronicle, di Josh Trank (2011)



"Chronicle" è la storia di tre liceali e della loro incredibile scoperta, che porterà in loro lo sviluppo di poteri sovrannaturali potentissimi. Man mano che imparano a controllare le loro capacità per trarne propri benefici, il loro lato oscuro prende il sopravvento.

Personalmente ho trovato questo "Chronicle", del giovane regista statunitense Josh Trank,  piuttosto banale, sul piano della rappresentazione filmica, nel suo pur apprezzabile tentativo di parlare del desiderio di onnipotenza distruttiva che alberga nell'animo di qualsiasi adolescente. "Chronicle" conduce un'inconsapevole discorso sulla potenza delle pulsioni che abitano le spinte delle nuove generazioni,in ogni epoca. Il problema di Trank e' tuttavia appunto una sorta di confusa inconsapevolezza dei risvolti simbolico-psicologici che ha per le mani, inconsapevolezza che viene amplificata dall'ennesimo ricorso allo stile mockumentary, che già di suo non dispone favorevolmente alla visione, e che ammazza ogni tipo di rimando appunto culturale che a tratti sfiora con la sua narrazione. Il film sulle prime seduce, poiché sembra pescare nell'immaginario fantascientifico filmico degli anni '50, con  tanto di ritrovamento di una "cosa dall'altro mondo", pero' sotterrata nelle campagne di una provincia americana odierna dalla quale ti vien solo voglia di fuggire a gambe levate: quasi una natura morta fatta di cheerleader che ballano sul campetto di baseball locale, di festicciole in discoteca. Ti viene da chiederti perché questi liceali annoiati e immersi in un ambiente tutto così prevedibile da decenni, non sentano la voglia di imbracciare un kalashnikov e iniziare una loro personale intifada contro i loro padri.  Trank opta invece per una evoluzione, per così dire più romantica della vicenda generazionale, e pone sul sentiero dei nostri tre eroi negativi, Andrew, Matt e Steve,  la scoperta del "lato oscuro della forza" che è dentro di loro, senza fornirli di Maestri Jedi che facciano da guida e protezione del loro spirito vuoto ed esausto. Il risultato di questa operazione e' tuttavia banalizzante, come dicevo più sopra, poiché  mette sul barbecue troppa carne tematica costringendola all'interno di un genere tecnicamente limitato per sua definizione e scelta (il mockumentary), impedendo così una "cottura" uniforme e sufficientemente apprezzabile di quello che ci viene servito nel piatto. Anche le sequenze del supermercato, che potrebbero possedere anche la valenza di una seria riflessione sociologica sul consumismo capitalistico contemporaneo, sfumano nella boutade adolescenziale, nella smargiassata fine a se stessa, rimandando al tema dell' onnipotenza fallico-erotica e narcisistica, svincolata da qualsiasi etica, ma toccando questi temi centrali nella comprensione dell'adolescenza, in modo assolutamente superficiale.   Il film e' a mio avviso anche troppo lento in alcuni punti, nonché poco convincente sul piano della caratterizzazione psicologica, dell'andamento non equilibrato dello script (di Max Landis), e dell'interazione interpersonale tra i personaggi. Anche i momenti maggiormente conflittuali vengono assorbiti dall'atmosfera "realistica" della pellicola. " Chronicle" si riprende fortunosamente nel finale. Prende cioè ritmo a partire dalla trasformazione delinquenziale di uno dei personaggi (Andrew), che appare efficace, e viene ben condensata nella esplosiva sequenza della rapina al drugstore. Ma e' sempre il mockumentary style a rovinare la partita, dal momento che le inquadrature catastrofiche finali non possono non ricordare Cloverfield  (2008), sebbene il mostro emerga fugacemente solo nelle sequenze iniziali del ritrovamento del malefico tesoro radioattivo sotterraneo. Voglio dire che il film di Trank, sebbene ce la metta tutta nel comunicare cose nuove e incisive in tema di teenager horror e territori limitrofi, rimane comunque sempre ostaggio della cornice di genere che presceglie per manifestarsi espressivamente. Il risultato e' dunque quello di buttar via delle potenzialità estetiche embrionali che non nutre affatto, anzi lascia completamente improduttive. Neppure il finale drammatico, sacrificale, salva la partita. "Chronicle" : non particolarmente consigliato, se non agli amanti totali del mockumentary in quanto tale. 
Regia:Josh Trank Soggetto e Sceneggiatura: Max Landis Fotografia: Matthew Jensen Montaggio: Elliott Greenberg Cast:Michael B. Jordan, Dane DeHaan, Michael Kelly, Ashley Hinshaw, Anna Wood, Alex Russell, Joe Vaz, Luke Tyler, Matthew Dylan Roberts NazioneGran Bretagna, USA 2012 Produzione: Adam Schroeder Productions, Davis Entertainment