Pagine

venerdì 23 dicembre 2011

Buon Natale



A tutti i lettori di questo blog i migliori Auguri di Buon Natale e di un meritato riposo dalle fatiche lavorative, che dovrebbero finalmente addivenire ad un attimo di pausa, ad una radura tranquilla, sebbene momentanea di felicità. 

domenica 18 dicembre 2011

Hostel Part III, di Scott Spiegel (2011)



Durante un addio al celibato a Las Vegas, una coppia di amici, Scott e Carter, si trovano coinvolti in una setta di misteriosi e sadici loschi figuri, facenti parti dell' Elite Hunting Club. La vicenda prenda una ulteriore brutta piega, nel momento in cui Scott scopre che il suo miglior amico Carter ha strani legami con il gruppo omicida. 

Un film appartenente al sottogenere cosiddetto torture porn potrebbe essere una buona occasione per portare avanti una riflessione in ambito artistico sul tema dell'odio nell'uomo, sulle sue multiformi estrinsecazioni e varianti, sulle sue origini e sulle possibili modalità di poterlo rappresentare in un modo socialmente condiviso e fruttuoso. In questo senso "Martyrs" di Pascal Laugier o "Funny Games" di Michael Haneke, vanno precisamente in questa direzione, poichè descrivono ciò che Hanna Harendt ha definito la "banalità del male" (riferendosi alla follia nazista). Il film di Scott Spiegel, uscito direttamente in DVD, invece butta via in 88 minuti di pellicola qualsiasi occasione riflessiva, critica, o di pensiero relativamente al tema di cui stiamo parlando, e in tal maniera si pone come la perfetta conclusione dell'inutile triade di "Hostel", inaugurata da Eli Roth nel 2005. D'altra parte cosa vogliamo attenderci da uno Scott Spiegel che da anni frequenta il lato più easy e business-oriented dell'horror da intrattenimento holliwoodyano? Non certo la profondità di un Haneke, appunto, che riflette sull'odio e sull'aggressività umana con un cipiglio sempre molto filosofico. Non credo sia infatti un caso che Spiegel ambienti questo pacchianissimo e indigeribile "Hostel part III" a Las Vegas, patria dell'effimero statunitense, un effimero mescolato, con ambiguità tutta americana, ad un puritanesimo che fa sì che nel film una delle vittime immolate dai torturatori sia vestita da cheerleader. Questo è l'immaginario perturbante yankee odierno: una cheerleader ricoperta di scarafaggi tropicali. Notevole contrasto, no? Un pò come quello delle fontane in stile Versailles di Las Vegas, ma collocate in mezzo al deserto. Wow. Ogni tanto Spiegel cerca di scimiottare il Laugier di "Martyrs", ma con effetti solamente comici, vedi la sequenza dello scorticamento facciale, che rimanda alla tortura finale di "Martyrs", ma attraverso modalità penosamente imitative. Il regista, come già accennato, punta tutto sul contrasto, come dimostra un montaggio iper-alternato che oscilla continuamente tra esterni rutilanti di casinò, bottiglie colorate di Bourbon e culi sodi di lapdancer, e i bui corridoi della sede dell'Elite Hunting Club. Un contrasto che diventa completamente fine a se stesso, e che ci fa molto presto venir voglia di spegnere tutto e andarcene a fare una salubre passeggiata in montagna, in un giorno di sole. Diciamo pure che quello di giustapporre inquadrature dalle differenti luminosità (contrasto, appunto) rimane l'unica arma a disposizione di un filmaker le cui braccia sono state sottratte purtroppo all'agricoltura, area professionale che dai suoi bicipiti avrebbe tratto molti più vantaggi che non quella del cinema. Un esempio? Spiegel non è neppure, e seppur vagamente in grado di rendere l'atmosfera carceraria dei sotterranei in cui sono imprigionate le vittime del Club. Non ha mai visto un film carcerario, quindi? Da dove si ispira? Da "Il Miglio Verde", forse? Probabilmente. Inutile dire che se i talenti estetici del nostro sono quelli di cui stiamo facendo la cronaca, la conduzione degli attori è una roba da pubblicità serale del Chevas Regal, anzi magari quella è anche più raffinata. Attori che sembrano merluzzi affumicati su un bancone di pescivendolo decorato da addobbi e luminarie natalizie. Volete il capitone? Ecco a voi dunque Brian Hallisay, il più affumicato di tutti. Gli altri seguono a ruota e non ha neanche senso citarli. Tutti pesci gelidi e smorti, incartati in una sceneggiatura vuota virante in un finale che tenta di alzare il tono dell'umore dello spettatore trasformando il torture porn in film d'azione e sparatorie, per salvarsi in zona Cesarini. La partita è tuttavia comunque persa, aldilà del buon Cesarini, e il redde rationem finale tra i due amiconi sembra presa da un vecchio telefilm di Starsky & Hutch, uno di quelli venuti peggio, però. In sintesi il film di Spiegel non merita affatto la nostra attenzione, se non per motivi di filologia, che è appunto l'unico motivo che me lo ha fatto accostare. "Hostel Part III": zero "pensoso" e molto penoso. Regia: Scott Spiegel Sceneggiatura: Michael Weiss, John Fasano Fotografia: Andrew Strahorn Montaggio: Brad E. Wilhite Musiche: Frederik Wiedmann Nazione: USA Produzione: Raw Nerve, Stage 6 Films Durata: 88 min.

sabato 3 dicembre 2011

Lo specchio nel buio. Il Perturbante freudiano e il Cinema Horror (5)



Continnuiamo oggi le nostre riflessioni psicoanalitiche in tema di Cinema Perturbante. Trovate le puntate precedenti ai seguenti link: 4.3.2.1.

Fin qui abbiamo  parlato  piuttosto lungamente di "responsabilità" rappresentativa del cinema perturbante, ma dobbiamo capire meglio sulla base di quale funzione specifica del mezzo cinematografico, si estrinsechi questa sua specifica responsabilità. Il mezzo e' in quanto tale un " oggetto evocativo", termine che prendo a prestito da Bollas, che nel suo testo "Il mondo dell'oggetto evocativo"  (2009), esamina con la profondità e l' acume che gli sono propri, il concetto di "associazione libera" in psicoanalisi. L'elemento per me più interessante del pensiero di Bollas a riguardo, e' che secondo lui l'associazione libera non e' semplicemente un fenomeno verbale, ma si dà anche attraverso altri "oggetti", che possono essere anche oggetti concreti. Si possono fare associazioni libere infatti -afferma Bollas- anche attraverso opere d'arte, libri che si stanno leggendo, sinfonie che si stanno ascoltando, e - aggiungo io-  film che si stanno guardando. Ciò' e' possibile poiché il cuore generativo dell'inconscio di ciascuno di noi, è disseminato lungo i molti luoghi della nostra esperienza, e non risiede solo e semplicemente in una mitica "interiorità" dell'individuo.  Si tratta di un concetto complesso, mi rendo conto, ma cerchiamo proprio per questo di esplorarlo meglio, poiché riteniamo sia molto utile ai fini del discorso che stiamo conducendo. Freud riteneva che l'inconscio fosse un "luogo mentale", un "territorio estero interno" all'individuo,  nel quale sta nascosta la storia infantile del soggetto, che va dissepolta e interpretata attraverso la psicoanalisi come trattamento curativo, unico metodo capace di avvicinarsi a questo territorio, mediante le tipicità della relazione tra analista e paziente. Questa tipicità estrinsecativa dell'inconscio, Bollas la chiama infatti, giustamente "coppia freudiana", la coppia, cioè costituita da analista e paziente al lavoro. Ma, sostiene Bollas, " l' inconscio non ha un posto soltanto. La vecchia idea che la vita mentale sia 'inconsciamente determinata' è riduttiva e reazionaria. Essa elimina i molti fattori interni ed esterni che contribuiscono alla vita inconscia di chiunque. I contenuti si articolano inconsciamente, ma le loro fonti sono in  migliaia di località distribuite in tutto l'arco della nostra vita" (Bollas, 2009 pag. 9). Questa ridefinizione di inconscio, da parte dello psicoanalista inglese, appare fondamentale (si tratta di un tema importante che attraversa tutta la psicoanalisi contemporanea, peraltro)  per il nostro discorso, in quanto noi abitiamo formazioni inconsce preesistenti, costituite ad esempio dalla nostra famiglia, dalla nostra città, dai luoghi che abitiamo e dagli oggetti che usiamo quotidianamente. Scrive Bollas:" Per Lacan il prestito più significativo e' il linguaggio stesso, ma possiamo certamente aggiungere il modo in cui sogna la nostra società ( e ciò che chiamiamo 'cultura' )" (Bollas, ibidem). E certamente un "modo in cui sogna la nostra società" e' il modo cinematografico di guardare a se stessa. Ciò che vuol dire Bollas e' che se c' e' sogno, allora c'e'  un inconscio,  che non e' solo dislocato monadicamente  all'interno dell'individuo, ma e' disseminato ovunque, negli oggetti della cultura e della società che abitiamo. L'ambiente che abitiamo non e' infatti un ambiente solo sociale, ma anche un ambiente onirico, un ambiente che cioè  evoca continuamente, incessantemente, attraverso gli oggetti plurimi da cui e' costituito, dei "treni associativi di pensiero" che vanno e vengono dall'interno del nostro inconscio, ma che dall'esterno culturale sono evocati. L' inconscio e' dunque come una chitarra le cui corde sono suonate da "molteplici linee di interesse psichico, che attraversano i momenti della vita come forma di radiante intelligenza silenziosa" (Bollas, 2009, pag. 10). Una di queste linee di interesse, che aggetta sulla soggettività individuale e fa risuonare i suoi eventuali Se' nascosti,  e' certamente il cinema. In particolare il C.P. e' un oggetto evocativo straordinariamente potente, poiché fa vibrare corde molto antiche, fragilità pluristratificate e incrostate dentro di noi, sollevando faglie protettive e togliendo maschere che pensavamo stabilmente posizionate (continua).