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giovedì 28 luglio 2011

Feria d'agosto


Come di consueto il blog chiude per una ventina di giorni. Uno tra gli obiettivi fondamentali di questo periodo di vacanza al mare con tutta la famiglia, sarà decisamente quello di trovare il tempo (e il pesce giusto) per cucinare una zuppa di pesce come si deve. Magari anche per festeggiare il Ferragosto (saremo insieme a un buon gruppo di persone, tra amici, parenti, bambini urlanti, almeno 5, che non so fino a che punto ci faranno riposare come vorremmo). La foto che ho messo più sopra rimanda proprio al desiderio gastronomico estivo di cui vi dicevo. Dedico inoltre questo post così "orale" alla nuova nata (il 26 luglio, ore 22,30) della famiglia, la cuginetta Martina, che sicuramente avrà molta fame. Benvenuta! Insomma, si chiude un anno lavorativo e blogsferico faticoso, lungo, complesso, e mi sembrava giusto segnalare, anche con un post un pò diverso dai soliti richiami perturbanti, uno stacco, una differenza, uno scarto, anche perchè, parlando di zuppe, non vorrei mai che questo blog diventasse una "minestra riscaldata". Inoltre la vita poi, non è sempre e solo "perturbante", ma grazie al cielo, a tratti, anche gustosa da assaporare. Quindi buone vacanze a chi va in vacanza, e buona permanenza a chi permane.
P.S. In ferie leggerò comunque e commenterò i post degli amici blogger. Potrebbe darsi che scriva anche qualcosa, tra un castello di sabbia e una cicala di mare alla brace, non si sa mai...

martedì 26 luglio 2011

Stake Land, di Jim Mickle (2010)


In una America del futuro prossimo, devastata da una nuova Grande Depressione economica, un popolo di vampiri assetati di sangue umano invade il paese. Gli USA diventano una terra desolata e morta. Martin è un adolescente che ha perso l’intera famiglia durante il tremendo e veloce contagio vampiresco, e Mister è invece un bravissimo cacciatore di vampiri, che adotterà Martin portandolo con lui e insegnandogli l'arte della caccia. Martin e Mister viaggiano verso New Eden, nel Canada, una zona che sembrerebbe essere ancora incontaminata.

Immaginatevi gli USA che si trasformano rapidamente in un far west selvaggio, pericoloso e inospitale, nel quale resistono alcune enclave isolate di umani, intenti a rifondare la loro vita quotidiana nei modi più vari e perversi (come ad esempio in setta talebana più pericolosa degli stessi vampiri, oppure come comunità medievale che difende le proprie postazioni turrìte dall'avanzata dei "barbari"). Immaginatevi due sceneggiatori (Mickle e Damaci) che hanno certamente letto e riletto Cormac McCarthy, soprattutto, ovviamente "The Road" (2006), e ne sono rimasti estasiati al punto di voler innestarne lo spirito su una storia di vampiri, magari pensando di rivitalizzare un filone horror ormai decaduto a stereotipato come quant'altri mai. "Stake Land" di Jim Mickle è in sintesi questo: una parabola densamente mccarthyiana incorniciata dentro ad un cadre vampirologico-horror che possiede anche lievi ma variegate venature romeriane. Detto questo, com'è il film? La pellicola oscilla come un pendolo peraltro ben oliato in tutti i suoi ingranaggi, su queste due strutture narrative, quella cioè esistenzialiastico-letteraria, toccando corde intimistico-adolescenziali, quasi musiliane oserei dire (è lo stile mccarthyiano); e la struttura classicamente horror, in cui a farla da padrone è lo stilema "attacco-contrattacco", come in "Io sono leggenda" di Matheson. Rispetto a Matheson qui però i protagonisti-cacciatori sono due, Martin e Mister, due ottimi personaggi, derivati da un casting perfettamente condotto, molto intensi, molto complementari, sebbene così diversi, quasi antitetici, per nulla edipici, per nulla stereotipati, cioè secondo me molto nuovi all'interno del genere perturbante. Il duo, verso metà del minutaggio diventa triade, con l'inserzione di Belle, giovane ragazza incinta, incontrata in un bar on the road. E' chiaro - dalla mia prospettiva che come sapete è anche quella psicoanalitica- che qui invece lo script si "edipizza", introducendo addirittura il tema della gravidanza, e quindi quello della famiglia, così caro, in modo quasi misticheggiante, agli americani. Trattasi di un Edipo ovviamente anomalo, post-post-moderno nella forma, ma molto classico nella sostanza, visto che mette in scena (inconsapevolmente?) tutto quanto il ciclo generazionale umano: infanzia (il nascituro), adolescenza (Martin), età adulta (il cinismo di Mister), nonchè l'Enigma della Vita come Sfinge edipica, cioè il Mostro-Vampiro. Tutto questo materiale simbolico, ed è proprio qui che ci avviciniamo ai punti deboli di questo film, è trattano con sguardo essenzialmente filosofico, e quasi per nulla perturbante. Credo infatti che "Stake Land" non lo si possa considerare un film di "genere perturbante". Probabilmente sono io che ci proietto mie suggestioni culturali personali (fatto comunque inevitabile ogni volta che ci si accosta ad un prodotto artistico), ma il film sembra sceneggiato da Gunther Anders, quanto a pessimismo millenaristico sui destini dell'Umano così inconsapevolmente diretto verso l'autodistruzione; oppure da Hanna Arendt, in quanto a riflessione socio-politica, ad esempio sulle banche succhiasangue che riducono l'individuo in animale-schiavo del potente virus della finanza mondiale. Il pendolo che oscilla tra filosofia e perturbante, si ferma cioè più sulla riflessione esistenzialistica, che sul Perturbante in quanto tale, mettendo così la sordina all'intrattenimento, alla suspense, al brivido, tutti ingredienti fondamentali di un film "horror". E' per questo che mi sento certamente di consigliare la visione di "Stake Land", avvertendo tuttavia che essa non emoziona, nè esalta i palati horror-oriented più di tanto. Jim Mickle infatti mette in scena una riflessione riguardante le possibilità che ha la Speranza di danzare nel deserto del non-pensiero contemporaneo. Ma questo potevamo scoprirlo leggendo un libro di Cormac McCarthy, senza dover passare attraverso una storia di vampiri, dalla quale comunque ci aspetteremmo qualcosa di diverso.
Regia: Jim Mickle Sceneggiatura: Jim Mickle, Nick Damaci Fotografia: Ryan Samul

Montaggio: Jim Mickle Musica: Jeff Grace Cast: Connor Paolo, Nick Damici, Danielle Harris, Gregory Jones, Kelly McGillis, Bonnie Dennison, Michael Cerveris, Sean Nelson

Nazione: USA Produzione: Anno: 2010 Durata: 98

mercoledì 20 luglio 2011

Drive-In Horrorshow, di Michael Neel (2009)



Voi lo sapete che nutro da sempre un certo interesse per il cinema indie in ambito horror-perturbante, e che ogni tanto decido di girare il volante e deviare i miei percorsi usualmente mainstream in territori più inesplorati e low budget. A volte mi imbatto in produzioni terribilmente brutte, ma altre volte scorgo arcobaleni inaspettati e gradevoli alla vista. E' il caso di questo "Drive-In Horrorshow" di un giovane Michael Neel, che a soli 32 anni riesce a tirare in piedi una installazione cinematografica che è un vero e proprio omaggio al genere splatter, che faremmo meglio a definire, attraverso questo film a episodi, sottogenere hard-splatter, poichè siamo qui di fronte a qualcosa di piuttosto hard, cioè per palati abituati a masticare non proprio solo noccioline. Il tutto e' pero' immerso in un clima molto ironico-macabro e gore-funny. Neel ci introduce subito in un'atmosfera vetero-creepshowiana mediante la figura di un prologus beffardo e sinistro, raffigurato nel personaggio del Proiezionista, che ci presenta ogni episodio all'interno della polverosa cabina delle proiezioni di un fantomatico e desertico drive-in. Un personaggio pure lui totalmente gore-funny, come da tempo immemore non ne vedevo. In "Pig", primo degli episodi, assistiamo al dramma psicofisico di un ragazzo che dopo una notte d'amore con la sua fidanzata, viene letteralmente incollato, nudo, alla vasca da bagno dalla stessa donzella, nonché torturato dalla medesima, folle di gelosia. Nel secondo, "The Closet", forse il meno riuscito, un bambino riesce a sbarazzarsi di tutta la sua noiosa famigliola alleandosi con lo ziotibiesco mostro che vive nello sgabuzzino della sua cameretta. Il terzo episodio, "Fall Apart", che ritengo il più riuscito, con quella stridente colonna sonora così indicata e commentare le immagini (molto, molto disturbanti) della decomposizione corporea di Patrick, ci racconta di un medico dei poveri alle prese con un paziente affetto da strane pustole emorragiche, che lo contagerà, cambiandogli la vita. "The Meat Man" ci parla di una inquietante urban legend (molto intra-familiare in verità...) attraverso le voci "innocenti" di due ragazzini. "The Watcher" è addirittura un omaggio (di un certo tenore, peraltro, considerato il budget inesistente alle spalle di questo film) al genere teen-slasher in stile "Hatchet", e riesce ad essere in tal senso molto più incisivo e perturbante di un qualsiasi danaroso ma insipido Michael Bay di turno. Insomma, c'è molta fantasia e creatività nella scrittura di questo "Drive-In Horroshow", così come anche molta ingenuità e approssimazione indie, naturalmente, per cui non aspettatevi una meraviglia da rimanere a bocca aperta. Tuttavia il tono generale di questa pellicola mi ha colpito, perchè ho visto vera passione per il genere. Ho visto studio, elaborazione personale, cura del make-up e degli effetti splatter, incisività in parecchie inquadrature molto shocking. E poi anche attenzione per i dialoghi (specialmente in "Fall apart"). Infine ho colto uno sguardo trasversale che fa parlare infanzia, adolescenza e età adulta in modo corale e con finezza non da poco, considerati i pochissimi quattrini a disposizione di Neel. "Drive-In Horroshow": piccola opera minore che non vi deluderà. 
Regia: Michael Neel Sceneggiatura: Greg Ansin, Michael Neel Fotografia: Michael Neel Effetti Speciali: Rob Fitz, Nick Flanagan, Jeff O'Brien Musiche: Greg Ansin, Eric Welsh  Cast: Jenna Morasca, Luìs Negron, Bill Gage, Ethan Zohn, Nancy Sadsad, Matthew Catanzano, Larry Jay Tish. Nazione: USA Produzione: Grim Films Durata: 94 min.

domenica 17 luglio 2011

Blog a Impatto Zero

Segnalatami dall'amico Eddy, aderisco molto volentieri a questa iniziativa ambientalista che desidera coinvolgere i blogger interessati. Andate a leggervi le istruzioni per parteciparvi sul Sito che ospita l'iniziativa "Blog a Impatto Zero". Avrete così l'occasione di vedere piantato un albero per voi, rendendo il vostro blog "a impatto zero di Co2" (odiosa sostanza che ammorba le nostre città). Doveconviene.it si occupa della raccolta di volantini di diverse catene di ipermercati, consentendo a noi cittadini di confrontare prezzi e offerte. E' così possibile consultare online le varie offerte, riducendo l' impatto ambientale del volantinaggio cartaceo, responsabile di una percentuale consistente di spreco di carta. QUI trovate un documento in .pdf che spiega molto dettagliatamente le ragioni e le mosse dell'iniziativa. A presto, e auguri per il vostro nuovo albero. 
Gli alberi si trovano nelle vicinanze d un piccolo villaggio tedesco nella regione di Saxony-Anhalt, dove e' in corso un importante progetto di piantumazione su un area di 3,4 ettari, nei quali saranno piantati circa 27.000 alberi.

venerdì 15 luglio 2011

Wrecked, di Michael Greenspan (2011)


Un uomo riprende conoscenza all'interno di un’auto completamente distrutta in fondo a una scarpata. E’  ferito gravemente ad una gamba, intrappolata nelle lamiere e non ha la più pallida idea di chi sia e di come sia arrivato lì. In questa situazione ai limiti della sopravvivenza gli fanno compagnia la radio della macchina, ancora funzionante, che lo aggiorna riguardo una violenta rapina in banca finita male, e il cadavere di un uomo sul sedile posteriore dell'auto, nel cui portafoglio trova dei documenti che lo identificano come uno dei rapinatori. L'uomo uscirà faticosamente dall'auto e scoprirà intorno a sé una Natura selvaggia e inospitale. Dovrà anche capire chi è, cosa gli è accaduto, e affrontare la scoperta di verità difficili da accettare.

Il regista canadese Michael Greenspan ammicca sottilmente a due altri film di genere survival-thriller/horror come "Frozen" (2010) di Adam Green, e "127 hours" (2010) di Danny Boyle, innestando su un'idea affine alle opere sopracitate, un tema semi-noir, facendolo gestire in totale solitaria da Adrien Brody. Sarebbe sufficiente questa prima sintesi dello script a farmi storcere il naso. Ma non è tanto la struttura anomala della storia ad aver generato in me più di una perplessità, quanto la conduzione di un ritmo di regia alquanto sonnolento e assai poco coinvolgente. Greenspan ce la mette tutta, con l'aiuto dell'ottima fotografia di James Liston, a riflettere l'immagine di una natura muschiosa, selvatica e inospitale, ma l'esito dei suoi immani sforzi si ferma qui, poichè l'andamento della storia è davvero troppo lento, anche per uno come me che a suo tempo ha visionato lungamente anche Tarkovskiy. Come si fa, voglio dire, a farci vagare in tondo per 40 minuti di pellicola nel bosco con Adrien Brody, dopo che nei 30 minuti precedenti siamo stati con lui giorno e notte nel chiuso dell'automobile distrutta?  Tutto ciò in quasi totale assenza di dialoghi, accompagnati da pallidi ed inutili flash-back sulla vera identità di Brody, nonchè da rare sequenze leggermente thrilling (come quella del puma che sbocconcella allegramente il cadavere dell'uomo sul sedile posteriore, ma che dura pochi e rapidi secondi)? La colonna sonora di Michael Brook, così pomposamente esistenzialista, manco fossimo davanti a immagini di Terrence Malick, non fa che appesantire l'aria già afosa che aleggia su tutto il film. Tutto il marchingegno narrativo è poi costruito solo intorno a Brody, attore che può piacere o non piacere, ma che qui non convince affatto, anche quando cerca di rappresentare piagnucolosamente la figura dell'uomo in balìa della natura bruta. Due parole, infine, sulla struttura dello script, che avevo lasciato in ombra appositamente, per concentrarmi sulla regia. Anche da questo punto di vista la storia contiene alcuni buchi logici poco comprensibili: perchè, ad esempio il protagonista, chiuso nell'automobile, ci impiega circa tre giorni e due notti a capire come poter aprire la portiera incastrata, e poi, come per miracolo gli si accende una lampadina e la portiera si apre? Oppure: com'è possibile che Brody perda completamente la memoria e il proprio senso d'identità, in una sorta di dissociazione mnestica traumatica, semplicemente dopo un incidente stradale? Ma queste domande bisognerebbe farle a Christopher Dodd, artefice di una sceneggiatura che ci lascia soli nel bosco, inseme a Brody, con le nostre domande irrisolte. "Wrecked": non riesco a trovare uno straccio di motivo valido per consigliarlo. Non so se Greenspan e Brody mi perdoneranno.  
Regia: Michael Greenspan Sceneggiatura: Christopher Dodd Fotografia: James Liston
Montaggio: Wiebke von Carolsfeld Musica: Michael Brook Cast: Adrien Brody, Caroline Dhavernas, Ryan Robbins, Adrian Holmes, Jacob Blair Nazione: USA/Canada Produzione: Independent Edge Films, Telefilm Canada, Equity Investment Program Anno: 2010
Durata: 91 min.

domenica 10 luglio 2011

Dylan Dog: Dead of Night, di Kevin Munroe (2010)


New Orleans. Dylan Dog viene assoldato da una donna che dichiara di aver visto suo padre essere ucciso da una misteriosa creatura. Muovendosi con la sua tipica astuzia da strada, il suo revolver e un piccolo arsenale di armi paranormali, Dylan Dog cercherà di riportare ordine e pace là dove ora c'è solo morte e interrogativi...

Sarò franco fin da subito: questa versione cinematografica del noto personaggio di Tiziano Sclavi, uscito per la prima volta in edicola nel lontano ottobre 1986, è veramente brutta, mal scritta e mal girata. Soprattutto perchè il Dylan Dog impersonato da Brandon Routh nulla ha a che vedere con lo spirito originario che ha generato il personaggio del fumetto; un personaggio assolutamente londinese, ruperteverettiano, proto-emo, proto-dark, molto all'antica nel senso di antimoderno per eccellenza, mosso da pulsioni tardo-adolescenziali che si mescolano a rimandi gotici e ossianici. Il "vero" Dylan Dog è cioè un personaggio molto creativo, che attraversa un universo di associazioni immaginarie e culturali assai spesse (ricordo il titolo di un numero, "Golconda!", che riprendeva quello di un famoso quadro di Reneè Magritte), e lo attraversa con passo leggiadro, aggraziato e simultaneamente perturbante. Qui, nel film di Kevin Munroe, ci troviamo di fronte a un Dylan Dog trasformato in macchietta da serie televisiva pomeridiana per preadolescenti annoiati, una specie di Tom Cruise in minore per palati facili  statunitensi di provincia. Una vera pena doverselo sorbire, dopo aver letto molti numeri di quel mitico fumetto italiano, e viene da chiedersi come mai Sclavi non sia insorto mediante apposite conferenze stampa, allo scopo di negare qualsiasi vicinanza a questo obbrorio filmico (ma le royalties sui diritti d'autore probabilmente sono in grado di tacitare qualsiasi nobile intento...). Il resto della ciurma di attori, suddivisa in modo equo tra buoni e cattivi, è pedissequa e (ancora) televisiva al duecento per cento. E' cosa buona e giusta stendere un pietoso velo di silenzio sulla storia, scritta a quattro mani da Oppenheimer e Donnelly (che hanno firmato il recentissimo "Conan il Barbaro" del tremendo Marcus Nispel, che uscirà negli States il 18 agosto 2011, nonchè altre cosucce insipide e inutili tra cui "Sahara", del 2005). I due writers, dopo questa nefasta performance, penso fermamente siano da evitare come un'epidemia di Escherichia Coli, e sono loro, naturalmente, più che il regista, i principali responsabili di questa disastrosa riduzione cinematografica di Dylan Dog. Mettono sul piatto una storia senza capo nè coda, chiamando a raccolta zombies, vampiri e licantropi, cioè tutti i mostri dell'immaginario horror mondiale di tutti tempi, sperando di poterli contenere in uno script che non esploda nel vuoto pneumatico su cui è costruito. Speranza vana, ovviamente, poichè i mostri in guerra messi in scena posseggono una credibilità estetica pari a quella di un imbianchino di Voghera (marito della famosa casalinga) messo a restaurare la Cappella Sistina. Dialoghi da asilo Pini, musiche da pubblicità di pandoro natalizio, CG e reparto effettistico tipo "art attack" per bambini, riducono il film a uno psedurutilante sfondo di cartapesta, che nel corso del minutaggio si inclina fino a cadere del tutto sbriciolandosi in mille pezzi. Davvero il nostro buon Dylan di Tiziano Sclavi, si meritava qualcosina di più, tanto più che i due geniali sceneggiatori eliminano subito uno dei personaggi fondamentali delle storie di Dylan, cioè l'aiutante Groucho, sostituendolo con Marcus, zombie "buono" e amico dell'"indagatore dell'incubo". Il perchè di tale scelta non la conosciamo, ma tale improvvida decisione è a mio avviso una spia della superficialità del gruppo di writers-più-regista al lavoro. Inutile dire che il film non spaventa neanche per un secondo, e neppure si avvicina mai alla sottile vena ironica e al senso del macabro che caratterizzano le storie a fumetti originali. "Dylan Dog: Dead of Night": sconsigliatissimo, issimo. 
Regia: Kevin Munroe Sceneggiatura: Joshua Oppenheimer, Thomas Dean Donnelly
Fotografia: Geoffrey Hall Montaggio: Paul Hirsch Musica: Geoffrey Hall Cast: Brandon Routh, Peter Stormare, Anita Briem, Taye Diggs, Sam Huntington, Brian Steele, Kurt Angle, Randal Reeder, James Hébert, Courtney Shay Young Nazione: USA Anno: 2010

sabato 2 luglio 2011

The Woman, di Lucky McKee (2011)


Chris Cleek, un avvocato di successo che abita in campagna, scopre che nel bosco nei pressi dell'abitazione della sua famiglia vive una donna completamente selvaggia, che si nutre di animali e abita in una caverna. 
Chris la catturerà e si porrà l'obiettivo di "civilizzare" la donna selvaggia, cominciando a  torturarla dopo averla rinchiusa in uno scantinato. La sua famigliola naturalmente lo seguirà in questa nobile impresa, anche perchè in famiglia tutti sanno bene chi comanda...

Sollecitato (o solleticato? Le parole sono molto importanti da queste parti...) dall'importante recensione di Elvezio Sciallis che potete leggere QUI, mi volgo anch'io, con piacere sommo ad esprimere un parere su quest'ultima opera di Lucky MKee, del quale avevo a suo tempo elogiato "May" (2002) (vedi recensione qui). L'elemento che mi ha più colpito di questo suo ultimo film è la grande libertà associativo-estetica di questo regista, che non si lascia spaventare da uno sceneggiatore quale Jack Ketchum, ma che anzi valorizza il suo fondamentale contributo con la sua personale ispirazione creativo-visiva, libera appunto da qualsiasi pregiudizio o dogma o stereotipo horror-style. E sarebbe molto facile cadere nei suddetti pregiudizi, poichè il nucleo narrativo è qui ridotto all'osso: si tratta della "scena modello" ketchumiana per eccellenza, cioè la segregazione del femminile e la sua brutalizzazione da parte di un potere violento e senza senso, "scena modello" che può pericolosamente diventare ripetitiva e sterile, se non viene trattata da mano accorta e sensibile. Ma McKee aveva dimostrato rara sensibilità già in "May", e qui raffina ulteriormente il suo occhio, mediante il ricorso ad una essenzialità narrativa di rara, cristallina bellezza. Non sono presenti nessun pleonasmo, nessuna sbavatura, nessun bisogno di dire cose in più. "The Woman" è in questo senso un elogio dell'insaturità, dell'astinenza dalla ridondanza, dell'epochè di quella pulsione esibizionistica, che spesso muove molti produttori e registi che guardano al genere perturbante solo come a un business (e sono in molti, come si sa).  McKee non è interessato al business, ma solo al racconto, al modus narrandi, alla forma che diventa contenuto. E' ovvio che per poter realizzare questo suo interesse, che è anche il nostro, il regista debba lavorare con mano salda su un cast di grande qualità, e anche in questo caso ci azzecca in pieno posizionando una triade centrale di attori le cui performance sono davvero mirabili. Pollyanna McIntosh (la Donna) è capace di mettere in scena la primitività selvaggia della Natura Darwiniana in modo davvero straniante. Angela Bettis è una moglie masochista, succube e insieme complice della follia tirannica del marito, oltremodo inquietante nella sua passività patologica. Sean Bridgers (Chris Cleek, il capofamiglia) incarna il potere paterno sadico e simmetricamente isomorfo alla primitività della donna selvaggia che vorrebbe dominare. Ma, come dicevo, è la potenza del racconto a dominare la scena, potenza cioè della macchina da presa e di un montaggio (di un geniale Zach Passero) che sottolinea ricorsivamente i passaggi più intensi della sceneggiatura. La potenza narrativa di "The Woman" risiede, io credo, soprattutto nella molteplicità di piani cui rimanda una storia che si presta ad una molteplicità pluristratificata di letture. Prendiamo ad esempio una delle sequenze iniziali in cui la Donna trancia con un morso inaspettato un dito di Chris: c'è un piano simbolico-psicologico, che è quello della castrazione, ma è presente anche un piano filosofico, perchè potremmo vedere questa castrazione come lo scarto originario tra Uomo e Natura, che Chris vorrebbe onnipotentemente sanare, cercando di "civilizzare" un qualcosa non civilizzabile per definizione.  Ma è presente anche un piano di lettura sociologico, relativo a una denuncia del clima mafioso-omertoso di certe famiglie abusanti che sembrano sempre più soffondere il tessuto sociale, dai livelli più suburbani a quelli più altolocati (vedi le perversioni dei vari Strauss-Kahn e/o Berlusconi di turno). In tal senso l'uso degli effetti speciali e il ricorso ad alcuni spunti splatter sono solo funzionali alla struttura del racconto e sono ben lungi dall'essere buttati lì per colpire la pupilla dello spettatore ingenuo. "The Woman" non presuppone infatti uno spettatore ingenuo, al contrario richiede grande intelligenza e senso critico a chi guarda, elemento che lo innalza di molti metri sopra altri film di genere. Come ultima notazione a un film che va decisamente visto e studiato, desideravo riferirmi agli accostamenti a "Martyrs" di P. Laugier,  fatti da alcuni recensori (tra cui Elvezio Sciallis stesso, che citavo all'inizio). Non credo che "the Woman" sia paragonabile a "Martyrs", se non per una loro similare ed intrinseca risonanza etica e antipostmoderna. Per il resto sono film molto diversi, e per giunta "The Woman" credo si muova in territori ancor più chiaramente etici, poichè parla del potere e delle sue deformazioni patologiche, collocando questo discorso nel cuore della famiglia borghese contemporanea. "Martyrs" sposta il discorso etico, invece, all'interno di un universo più surreale, eccentrico, e in questo diventa meno "caldo", meno umano di questo "The Woman". Inutile ribadire quindi che se ne consiglia la visione. 
Regia: Lucky McKee Sceneggiatura: Lucky McKee, Jack Ketchum Fotografia: Alex Vendler Montaggio: Zach Passero Musica: Sean SpillaneCast: Pollyanna McIntosh, Sean Bridgers, Carlee Baker, Shana Barry, Marcia Bennett, Angela Bettis Nazione: USA Produzione: Moderciné Anno: 2011 Durata: 90