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domenica 2 gennaio 2011

Let me in, di Matt Reeves (2010)



In un quartiere periferico di Los Alamos, New Mexico (USA), il ritrovamento di cadaveri completamente dissanguati costringe la polizia a brancolare, come al solito, nel buio più fitto. Omicidi rituali? Un serial killer? Mentre nel quartiere comincia ad aleggiare la paura, un ragazzino locale, Owen, sogna di potersi vendicare dei sorpusi messi in atto ai suoi danni, da parte dei suoi compagni di scuola. Ma finalmente Owen trova un'amica, Abby, una coetanea che si è appena trasferita nel quartiere. Presto i due diventano più che semplici amici. C'è qualcosa di strano in Abby: ha il viso molto pallido, i capelli scuri e grandi occhi. Emana un cattivo odore, non patisce affatto il freddo di Los Alamos,  se salta sembra volare e, soprattutto, la puoi incontrare solo di notte.

Una premessa obbligatoria: per visionare questo film di Matt Reeves occorre mettere in atto preliminarmente  un'operazione di "rimozione volontaria". E' necessario, cioè, far finta di non aver mai visto il film precedente (“Låt den rätte komma in”, 2008) di Tomas Alfredson, tratto dall’omonimo romanzo-culto di John Ajvide Lindqvist. Operazione non facile, lo so, direi quasi impossibile, poichè non è semplice comandare l'astinenza assoluta al nostro preconscio, ma comunque essenziale, se si vuol dare "a Cesare quel che è di Cesare". Il film di Matt Reeves (“Cloverfield”, 2008) è ambientato a Los Alamos, New Mexico, ai nostri giorni. Los Alamos si trova ad un'altitudine di circa 2.200 metri, nel bel mezzo delle Jemez Mountains, nel New Mexico del nord, cosicchè fa comprensibilmente freddo, ed è probabilmente per questo genere di ragioni che le locations si sono concentrate qui. Ambientare la storia di Lindqvist negli Stati Uniti richiedeva cioè un luogo che si avvicinasse agli ambienti descritti nel libro. Ciò che vediamo nel film è infatti, potremmo dire, "isomorfo" a ciò che troviamo nel libro, sebbene lontano dalle atmosfere che può evocare il paesaggio invernale svedese che avvolge il sobborgo di Blackeberg, Stoccolma, negli anni '80 (il romanzo è tuttavia, ricordiamo, del 2004). C'è un bambino, Owen, interpretato da Kodi Smit-McPhee, teneramente torvo e pensoso, con quei due occhioni color cenere che hanno poco a che spartire con i suoi capelli neri che sparano ciuffi di qua e di là. C'è poi la sua vicina, una bambina misteriosa, Abby, (Chloe Moretz), che abita col suo anziano papà, e con la quale Owen fa amicizia nelle gelide serate passate nel cortiletto, sulle giostrine, a chiacchierare timidamente, mentre Abby risolve a velocità inquietante il cubo di Rubik di Owen. Abby non sembra inoltre patire il freddo,  giacchè cammina a piedi nudi sulla neve, come se nulla fosse. Accadono tuttavia fatti terribili quanto inspiegabili a Los Alamos: cadaveri dissanguati vengono scoperti nei boschi pieni di neve, e ben presto sapremo che l'artefice di tali sinistre manovre non è altro che il papà della ragazzina. Abby non è umana, e le burrascose litigate tra lei e il padre, all'interno delle mura domestiche, cominciano a inquietare anche Owen, quando, nelle sue sere di solitudine, sdraiato nel suo letto, sente dall'altra parte del muro, urla appunto inumane levarsi fino al soffitto.  Tutto procede mediante narrazione delicata, intimista, da parte di Reeves, fino a quando vediamo gli occhi grigi e maligni di Abby osservare il cadavere di un malcapitato che lei stessa ha appena ucciso, e di cui ha bevuto il sangue, nel buio di un tunnel in disuso. Abby è un vampiro. Un vampiro dalle sembianze esili e goffe di una preadolescente tremebonda, ma che in realtà ha centinaia d'anni, e che utilizza una sorta di "maggiordomo" umano, il finto "padre", per procurarsi il suo alimento emoglobinico preferito. Ulteriore svolta drammatica nella sceneggiatura può essere osservata nella sequenza (ben pensata, ottimamente girata) dell'incidente presso il benzinaio. Qui Reeves mostra una delle cose più pregevoli del film, che pur grondando di "americanata" lontano un miglio, e pur ponendosi agli antipodi di un testo quale l'originale di Lindqvist, sa integrare letteratura così tanto europea e gusto postmoderno statunitense, quant'altri mai. E lo fa manovrando un cast assolutamente yankee, come giustamente s'ha da fare, inserendo pure un sapore ebraico nella caratterizzazione fisica di Elias Koteas, il poliziotto, con quegli occhialoni neri, che più american-yddish non si poteva. Altra sequenza molto ben costruita è quella del dialogo tra Abby e il padre orrendamente sfigurato, sul davanzale della finestra, all'ospedale. Owen è poi il bambino meno "svedese" che si potesse trovare, tanto quanto Abby che è molto, molto over size (culturalmente parlando) rispetto alla Eli di Lindqvist. Ottima anche l'idea di modificare i nomi dei protagonisti, proprio per dare l'idea dell'interpretazione non pedissequa di una materia troppo "altra" da poter essere assorbita come tale, tout court, nello script. Questo è appunto "Let me in": una libera interpretazione, in chiave tutta americana, del commovente romanzo horror dello scrittore svedese. E a questo punto possiamo anche sospendere l'operazione di "rimozione volontaria" che suggerivamo all'inizio. Il film di Reeves nulla ha a che fare con il film di Alfredson, che possiede tutto un suo spessore europeo. Un film che ha dietro di sè tutta la Kultur europea. E che il film di Reeves ha la consapevolezza di non avere. E' cioè un film umile, che sa stare nei suoi confini, coi piedi per terra, pur ponendosi il legittimo obiettivo di interpretare un testo romanzesco, traducendolo in immagini. Le musiche di Giacchino e la fotografia buia, ma scarsamente contrastata di Greig Fraser, avvolgono con delicatezza un tessuto narrativo consapevole dei suoi limiti, ma che sa essere anche molto adeguato nel raccontare ai "fratelli americani" una storia tutta europea. "Let me in": da vedere, dopo aver rimosso Alfredson, il piccolo Oskar, e, soprattutto, la grandiosa Eli, Lina Leandersson, la più memorabile di quel cast. 
Regia: Matt Reeves Sceneggiatura: Matt Reeves Fotografia: Greig Fraser Musica: Michael Giacchino Cast: Chloe Moretz, Kodi Smit-McPhee, Richard Jenkins, Jimmy Pinchak, Sasha Barrese, Chris Browning, Cara Buono, Elias Koteas, Seth Adkins, Rachel Hroncich, Dylan Minnette Nazione: Gran Bretagna, USA Produzione: EFTI, Goldcrest Postproduction London, Hammer Film Productions Anno: 2010 Durata: 110 min.

  

7 commenti:

  1. Non avrei scommesso un centesimo su questo remake, e invece sembra un film quanto meno dignitoso, se non di più. A questo punto, gli darò sicuramente una chance. :)

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  2. @ Simone: neanch'io avrei scommesso un centesimo,su questo film, Simone. Invece, e concordo con te, è assolutamente dignitoso. Però, ripeto, occorre dimenticarsi del film di Alfredson, cioè non bisogna fare confronti a priori. Altrimenti "Let me in" ne esce inevitabilmente con le ossa rotte.

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  3. Premessa: odio i vampiri da sempre e di questi tempi poi... ma il "lasciami entrare" di Alfredson è tutt'altra cosa (secondo me, anche meglio del romanzo).
    Detto questo, dal mio punto di vista, fare un remake di questo tipo è come rifare "Arancia meccanica" o "Via col vento". Impossibile.
    La tua recensione, come sempre perfetta, mi farebbe voglia di vederlo ma, ahimé, devo ammettere che il voltastomaco questa volta sta superando le, pur minime, aspettative.
    Please, qualcosa di nuovo...

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  4. @ Eddy: non hai tutti i torti, e anche il sottoscritto ha dovuto superare vari sintomi psicosomatici prima di poter visionare a mente fredda "Let me in". Ho voluto vederlo, diciamo, solo perchè è stato girato da Reeves, regista di "Cloverfield", opera a mio avviso originale e ben costruita. Desideravo vederlo all'opera con questo "impossibile" (appunto) progetto.

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  5. @ Eddy: rispetto al "qualcosa di nuovo", sto elaborando apposite recensioni dei corti di Pearry Reginald Teo (quello di "Necromentia",2009, per intenderci). Tali shorts, sono "nuovi" almeno per l'Italia, direi, visto che non sono reperibili affatto sul nostro suolo patrio. :)

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  6. Angelo:

    "Abby ha il viso molto pallido, capelli scuri, grandi occhi".

    Fatico ad immaginarla diversa.

    Cristian

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  7. Io non capisco perchè abbiano tagliato la scena clou Che spiega tante cose...

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