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martedì 16 novembre 2010

Lo specchio nel buio. Il Perturbante freudiano e il Cinema Horror (1)


Tutto ciò che definiamo "perturbante" ricade sotto l'ombrello semantico del "disturbante". E "disturbante" è innanzitutto quella esperienza emotiva che fa traballare le nostre sicurezze acquisite, le nostre consuete categorie di interpretazione del mondo. E' dunque "perturbante" tutto ciò che ci disgusta, ci offende, ci spaventa, in tutte le più variegate declinazioni esperienziali di tale evenienza. L'appalesarsi di simili situazioni emotive nella nostra vita, ha il sapore del trauma, nel senso che la reazione subito innescata da una situazione, o da un oggetto, perturbanti, è necessariamente quella dell'angoscia, dal semplice "brivido" che ci corre lungo la schiena, a reazioni neurofisiologiche come  il sentire "la pelle d'oca", fino al vero e proprio attacco di panico, o sindromi affini. Il "trauma" è infatti, essenzialmente, la rottura di un equilibrio psicofisico che avevamo fino a quel momento raggiunto, e la reazione sintomatica, usualmente intrisa di angoscia, non è altro, appunto, che una sorta di "teoria del trauma"', cioè il tentativo del nostro sistema somato-psichico di farsi una rappresentazione di ciò che stiamo vivendo, di darsi un confine stabile, di farsi cioè una ragione, potremmo dire, dei sentimenti spiacevoli che sentiamo, in modo da non esserne completamente invasi. Da un punto di vista eminentemente psicoanalitico ogni sintomo psicopatologico anche molto più grave di un semplice spavento occasionale, è infatti una "teoria del trauma". Le pazienti isteriche dell'Ottocento viennese freudiano, esprimevano proprio questo carattere peculiare della mente, sulla base del quale è nata la stessa Psicoanalisi. La Psicoanalisi è cioè figlia di una teoria del trauma isterico, invenzione delle stesse pazienti di Freud, che cercavano di darsi una ragione del loro soffrire psicosomatico, evocando una "seduzione infantile" anch'essa perturbante, traumatica, ma mai rappresentata o messa in parole. La loro “teoria” è inscritta nel corpo: è il corpo isterico che “parla”. La seduzione come causa del dolore mentale è la " teoria del trauma" dell' isterico. Tale teoria ha influenzato a lungo la stessa Psicoanalisi, che poi ha comunque cambiato paradigmi scientifici lungo il corso della storia delle sue teorie e delle sue tecniche. Esattamente come le isteriche ottocentesche, anche noi, di fronte all'esperienza perturbante, cerchiamo di dare un senso all'angoscia costruendo rappresentazioni che possano significare la stessa esperienza emotiva. Oppure sogniamo, o facciamo incubi, che sono tentativi non riusciti, "aborti" teorici derivanti dall'incontenibilità della nostra stessa angoscia.  Wilfred Bion sostiene peraltro che qualsiasi esperienza ci attraversi durante ogni momento della giornata, si trasforma dentro di noi in immagini, quasi delle fotografie dell'esperienza emotiva vissuta, in modo tale che la nostra coscienza non sia troppo  perturbata dal mondo emotivo. Le immagini mentali che ci giungono in soccorso durante il nostro vivere, diventano cioè una sorta di necessaria "barriera di contatto" narrativa, onirica, che ci preserva da un contatto troppo diretto col nostro inconscio. Il saggio freudiano su "Il Perturbante" (1919) ci parla di tutto questo, senza citare mai esplicitamente tuttavia nè l' isteria, nè la teoria del trauma, ma rivolgendo semplicemente il suo sguardo a quelle rappresentazioni artistiche e in particolare letterarie che utilizzano il perturbante come teoria implicita del trauma. Per "implicita" qui intendiamo naturalmente "inconscia", cioè una "teoria" in senso lato, mentale, e non scientifico, che si costituisce comunque come movimento conoscitivo, dal momento che siamo di fronte a un tentativo di dare un senso (seppur embrionalmente emotivo e mediato dalla tecnica artistica che viene utilizzata) a un'esperienza per noi spiazzante perché incomprensibile ed extraterritoriale rispetto ai luoghi dove saldamente e usualmente si trova installato il nostro Io.   Il saggio di Freud su "Il Perturbante", risale  al lontano 1919 ed e' certamente ispirato alla altrettanto spiazzante e "insensata" esperienza della Prima Guerra Mondiale. La Morte aleggia sull'Europa in quell'oscuro periodo di transizione storica, e Freud si interroga su "quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci e' noto da lungo tempo, a ciò che ci e' più familiare " (Freud, 1919).  L'elemento che subito salta all'occhio rileggendo quest'opera di Freud, è il fatto che lo psicoanalista viennese colleghi immediatamente ciò che abbiamo qui definito come "teoria del trauma", cioè il tentativo di auto-elaborazione dell'angoscia da parte del nostro io mediante rappresentazioni di qualche natura,  con "ciò che ci e più familiare". Secondo Freud, cioè, l'origine dell'impatto traumatico del "perturbante", non risiede tanto in una sua natura "extraterritoriale", come l'abbiamo qui , fenomenologicamente definita, quanto, al contrario, in una sua intra-territorialità a noi assai familiare, che non e tuttavia riconosciuta come tale. In altre parole il "perturbante" genera angoscia innanzitutto a partire dall'interno, un "interno originario", ambientale, affettivo-familiare. Si tratta di un mondo interno privato, silente, umbratile, nascosto, che viene attivato da un oggetto, per esempio artistico, oggetto che diventa quindi  "oggetto evocativo" (Bollas, 2008). Un "oggetto evocativo" è come uno schermo bianco sul quale possiamo vedere le nostre angosce latenti, il nostro perturbante originario personale; esso consente al nostro mondo inconscio di estrinsecarsi, di prendere vita, nostro malgrado, cioè bypassando i confini della nostra coscienza. Possiamo vederlo come il catalizzatore di una reazione chimica, come la cartina al tornasole che evidenzia o meno la presenza di una sostanza. Il Cinema è senza dubbio "oggetto evocativo" per eccellenza poiché e fatto di una materia immaginifico-narrativo-visiva molto simile a quello con cui sono fatti i sogni. Ma anche il sogno, come abbiamo visto, è di per se stesso un "sintomo" cioè, a sua volta, una "teoria del trauma", nel senso che possiamo pensarlo come tentativo di rappresentazione di angosce più o meno profonde del soggetto sognante (rappresentazione più o meno riuscita, come dicevamo a proposito degli incubi). Cinema e Sogno sono strettamente imparentati, all'interno del reticolo natural-culturale del Soggetto Umano, poiché parlano attraverso codici che potremmo dire appartengono alla stessa categoria dello Spirito. Nella prospettiva teorica che stiamo cercando di costruire, Cinema e Sogno sono quindi entrambi "teorie del trauma" ( o forme della " barriera di contatto", se preferiamo usare un lessico bioniano), e in particolare il cinema cosiddetto "horror" esplora la categoria del Perturbante per tentarne una teorizzazione rappresentativo-narrativa potremmo dire radicale, calandosi nell'abisso delle angosce umane più primitive e aprendo, senza tanti complimenti, gli armadi dove giacciono gli scheletri dello spettatore. Per meglio dire un film horror è un “oggetto evocativo” d’elezione (più o meno efficace, come appunto accade ai sogni) di quegli scheletri chiusi negli armadi, e per esprimere al meglio questa sua funzione, utilizza tecniche narrative peculiari di cui parleremo più diffusamente in seguito. In questo senso il cinema di genere horror può certamente essere visto come tentativo di rappresentazione culturale del trauma (segue).

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